LATINO LINGUA UNIVERSALE
Anzitutto, il latino ha smesso di venire utilizzato soltanto da cinquantun anni; fino al Concilio Vaticano II, chiusosi, appunto, nel 1965, il latino, come è risaputo, era stato la lingua in cui veniva celebrata la S.Messa. Questa sua funzione gli dava valore universale, valore che, dalla nascita dell'Impero Romano in poi, ma sopratutto nel Medioevo, fu la ragione della sua importanza capitale per l'Europa e per l'Occidente in generale. La Chiesa, volgarizzando la Messa e, dunque, eliminando il latino dal proprio cuore pulsante, cioè dalla celebrazione liturgica, ha compiuto un atto estremamente significativo e decisamente carico di conseguenze. Facendo questa scelta, la Chiesa, e con lei il latino, ha perso, in un certo senso, quell'autorità universale e sovranazionale che aveva sempre posseduto e che era, ed è ancora, nonostante tutto, una delle sue caratteristiche principali ed imprescindibili.
Ma da dove deriva tutta questa importanza del latino per noi, per la nostra storia e dunque, necessariamente, per il nostro presente? L'aver parlato della Chiesa non è stata una divagazione, ma una scelta precisa e ben determinata. L'origine, difatti, della centralità del latino per noi sta proprio in un'epoca che ebbe la Chiesa di Roma a suo fondamento, e che senza di essa sarebbe completamente impensabile: il Medioevo. Questo, chiaramente, ha radici profondissime anche nel mondo classico, sopratutto in quello romano, che non a caso vide fondare, nella sua capitale, la Chiesa Cattolica, assolutamente determinante per tutta la storia successiva. Nel Medioevo erano due i poteri centrali, cui il mondo avrebbe dovuto fare riferimento: l'Impero e la Chiesa. Le loro autorità, altissime e somme, riguardavano i due aspetti principali dell'esistenza umana: quello terreno e quello spirituale. La Chiesa si curava della salvezza delle anime, suo compito primo e supremo, e l'Impero garantiva la pace dell'ordine, condizione necessaria a favorire l'operato della prima. Ma questi due poteri, che pur tante volte e con tanta foga si combatterono tra loro, erano accomunati da una stessa lingua: il latino. Ora, appare chiaro che questi due poteri sono poteri assolutamente sovranazionali e, sopratutto, universali. La loro autorità, difatti, riguardava l'uomo preso in sé, indipendentemente dalla sua origine o provenienza, andandone a toccare i fini ultimi. Questo dell'universalità non era un concetto nato nel Medioevo, perché aveva un illustrissimo precedente: l'Impero Romano. Fu con esso che si ebbe la prima, grande e duratura esperienza universalistica in Europa; basti pensare alla profezia contenuta nel libro sesto dell'Eneide, nella quale Anchise presenta, nei Campi Elisi, ad Enea il futuro ed il compito civilizzatore di Roma. Fu sotto Roma che, per la prima volta, larga parte d'Europa- e non solo- si unì sotto un'unica identità, fu sotto Roma che strade, ponti, canali e vie unirono territori prima d'allora sconnessi e sconosciuti l'un l'altro, fu con Roma che si creò il primo, grande sistema di diritto, che ancora oggi, come le sue opere pubbliche, appare mirabile per precisione ed efficacia. Fu con Roma, insomma, che l'Occidente formò un sistema di valori comune, che oltrepassasse la singola dimensione territoriale per farsi condiviso da tutte le genti, e dunque fu con Roma, in Roma e da Roma che nacque il Medioevo. Chiaramente, gli elementi fondanti di questo periodo non erano soltanto romani, ma dalla latinità questo trasse soprattutto il sentirsi universale, nel proprio cristianesimo, che, con Teodosio, era poi divenuta religione ufficiale dell'Impero. Ma, in realtà, per il medievale la frattura tra il proprio tempo e quello dell'Impero non esisteva affatto; l'uomo medievale si sente un romano a tutti gli effetti, si sente membro dell'Impero eterno e benedetto da Dio, difensore del Suo Santo Nome e del Suo Vangelo, Impero che, pur dopo tanto male inflitto ai cristiani martiri, si convertì e passò dalla loro parte. Si pensi ai continui richiami alla romanità presenti nella Divina Commedia, da Virgilio come guida nell'Inferno ed in parte del Purgatorio alla celebrazione di Giustiniano e di Roma in Paradiso; Dante, da vero medievale, si sente parte dell'Impero, che mai ha cessato di esistere. E questo attaccamento, questa vicinanza, questa quasi identità si basano in larga parte proprio sul latino, la lingua dell'Occidente per almeno un millennio e sette secoli, da Augusto al Settecento o, se vogliamo, da Augusto al Concilio Vaticano II, coprendone così ancora di più.
È chiaro che si smise di parlarlo comunemente all'incirca a partire dalla caduta dell'Impero d'Occidente, ma è da esso che nacquero le lingue romanze; è probabile che in pochi la capissero, ma lo è altrettanto che in molti la sentissero vicina, se non altro perché lingua della Chiesa, dunque della Messa, e perché lingua dell'Impero, la cui autorità, sebbene spesso concretamente debole e, sopratutto in Italia, contrastata, cosa che lo porterà a ridursi di fatto alla sola area tedesca, era comunque moralmente forte nell'immaginario del tempo. Conoscere il latino, dunque, è conoscere l'identità stessa dell'Occidente, che proprio col cristianesimo medievale sviluppò molte tra le sue caratteristiche peculiari, il suo spirito, la sua tradizione; conoscere il latino significa possedere la chiave d'accesso ad un'innumerevole quantità di documenti e scritti sui quali la nostra civiltà si è basata e continua a basarsi, perché il latino non si è ovviamente esaurito col Medioevo, come è già stato detto, ma continuò ad essere la lingua dell'Occidente, la lingua con la quale si conobbero, tradotte, le più alte vette del pensiero filosofico greco, quali Platone, Aristotele e Plotino, che ebbero anche loro un peso a dir poco sconfinato sul futuro della nostra civiltà; la lingua che, con la passione e la foga filologica dell'Umanesimo, ritornò agli splendidi trionfi stilistici ciceroniani, e con la quale umanisti da tutta Europa comunicavano tra loro senza problemi, dando inizio all'età moderna- cosa certamente non priva di ripercussioni anche negative sulla nostra civiltà, ma certamente anche passaggio e momento storico assolutamente determinante, nel bene e nel male, per essa; la lingua che rimase la lingua della scienza, nella quale anche Galileo e Newton scrissero, la lingua dell'ufficialità e della diplomazia, ma soprattutto la lingua della Chiesa Cattolica, che tenne unita l'Europa per più di mille anni, la lingua della sua liturgia, della sua teologia, della sua dottrina e dunque, data la compenetrazione oggi quasi inimmaginabile che si aveva nel Medioevo tra uomo e dimensione religiosa, dell'anima dei suoi fedeli, nostri padri e fratelli. Conoscere il latino significa, ovviamente, anche conoscere il patrimonio filosofico, letterario e storico non solo cristiano, ma anche - e forse soprattutto - classico, assolutamente basilare per l'esistenza stessa del cristianesimo e dell'Occidente come l'abbiamo conosciuto; conoscere il latino è, dunque, conoscere una lingua veramente universale, che ha oltrepassato e valico confini di spazio e di tempo, che ha creato un Impero padre del nostro presente e della nostra storia, che ha congiunto mirabilmente razionalità e profondità greca, saggezza e morigeratezza latina e spirito e fervore cristiano in un momento irripetibile che è stata la civiltà greco-cristiana. Che ha, insomma, antica ma mai vecchia, morta ma mai assente, cristallizzata ma mai fredda, immobile ma mai stantia, acronica ma mai anacronistica, plasmato il nostro stesso essere, la nostra stessa identità, ed è forse la nostra vera, prima, madre, lingua.
Ma da dove deriva tutta questa importanza del latino per noi, per la nostra storia e dunque, necessariamente, per il nostro presente? L'aver parlato della Chiesa non è stata una divagazione, ma una scelta precisa e ben determinata. L'origine, difatti, della centralità del latino per noi sta proprio in un'epoca che ebbe la Chiesa di Roma a suo fondamento, e che senza di essa sarebbe completamente impensabile: il Medioevo. Questo, chiaramente, ha radici profondissime anche nel mondo classico, sopratutto in quello romano, che non a caso vide fondare, nella sua capitale, la Chiesa Cattolica, assolutamente determinante per tutta la storia successiva. Nel Medioevo erano due i poteri centrali, cui il mondo avrebbe dovuto fare riferimento: l'Impero e la Chiesa. Le loro autorità, altissime e somme, riguardavano i due aspetti principali dell'esistenza umana: quello terreno e quello spirituale. La Chiesa si curava della salvezza delle anime, suo compito primo e supremo, e l'Impero garantiva la pace dell'ordine, condizione necessaria a favorire l'operato della prima. Ma questi due poteri, che pur tante volte e con tanta foga si combatterono tra loro, erano accomunati da una stessa lingua: il latino. Ora, appare chiaro che questi due poteri sono poteri assolutamente sovranazionali e, sopratutto, universali. La loro autorità, difatti, riguardava l'uomo preso in sé, indipendentemente dalla sua origine o provenienza, andandone a toccare i fini ultimi. Questo dell'universalità non era un concetto nato nel Medioevo, perché aveva un illustrissimo precedente: l'Impero Romano. Fu con esso che si ebbe la prima, grande e duratura esperienza universalistica in Europa; basti pensare alla profezia contenuta nel libro sesto dell'Eneide, nella quale Anchise presenta, nei Campi Elisi, ad Enea il futuro ed il compito civilizzatore di Roma. Fu sotto Roma che, per la prima volta, larga parte d'Europa- e non solo- si unì sotto un'unica identità, fu sotto Roma che strade, ponti, canali e vie unirono territori prima d'allora sconnessi e sconosciuti l'un l'altro, fu con Roma che si creò il primo, grande sistema di diritto, che ancora oggi, come le sue opere pubbliche, appare mirabile per precisione ed efficacia. Fu con Roma, insomma, che l'Occidente formò un sistema di valori comune, che oltrepassasse la singola dimensione territoriale per farsi condiviso da tutte le genti, e dunque fu con Roma, in Roma e da Roma che nacque il Medioevo. Chiaramente, gli elementi fondanti di questo periodo non erano soltanto romani, ma dalla latinità questo trasse soprattutto il sentirsi universale, nel proprio cristianesimo, che, con Teodosio, era poi divenuta religione ufficiale dell'Impero. Ma, in realtà, per il medievale la frattura tra il proprio tempo e quello dell'Impero non esisteva affatto; l'uomo medievale si sente un romano a tutti gli effetti, si sente membro dell'Impero eterno e benedetto da Dio, difensore del Suo Santo Nome e del Suo Vangelo, Impero che, pur dopo tanto male inflitto ai cristiani martiri, si convertì e passò dalla loro parte. Si pensi ai continui richiami alla romanità presenti nella Divina Commedia, da Virgilio come guida nell'Inferno ed in parte del Purgatorio alla celebrazione di Giustiniano e di Roma in Paradiso; Dante, da vero medievale, si sente parte dell'Impero, che mai ha cessato di esistere. E questo attaccamento, questa vicinanza, questa quasi identità si basano in larga parte proprio sul latino, la lingua dell'Occidente per almeno un millennio e sette secoli, da Augusto al Settecento o, se vogliamo, da Augusto al Concilio Vaticano II, coprendone così ancora di più.
È chiaro che si smise di parlarlo comunemente all'incirca a partire dalla caduta dell'Impero d'Occidente, ma è da esso che nacquero le lingue romanze; è probabile che in pochi la capissero, ma lo è altrettanto che in molti la sentissero vicina, se non altro perché lingua della Chiesa, dunque della Messa, e perché lingua dell'Impero, la cui autorità, sebbene spesso concretamente debole e, sopratutto in Italia, contrastata, cosa che lo porterà a ridursi di fatto alla sola area tedesca, era comunque moralmente forte nell'immaginario del tempo. Conoscere il latino, dunque, è conoscere l'identità stessa dell'Occidente, che proprio col cristianesimo medievale sviluppò molte tra le sue caratteristiche peculiari, il suo spirito, la sua tradizione; conoscere il latino significa possedere la chiave d'accesso ad un'innumerevole quantità di documenti e scritti sui quali la nostra civiltà si è basata e continua a basarsi, perché il latino non si è ovviamente esaurito col Medioevo, come è già stato detto, ma continuò ad essere la lingua dell'Occidente, la lingua con la quale si conobbero, tradotte, le più alte vette del pensiero filosofico greco, quali Platone, Aristotele e Plotino, che ebbero anche loro un peso a dir poco sconfinato sul futuro della nostra civiltà; la lingua che, con la passione e la foga filologica dell'Umanesimo, ritornò agli splendidi trionfi stilistici ciceroniani, e con la quale umanisti da tutta Europa comunicavano tra loro senza problemi, dando inizio all'età moderna- cosa certamente non priva di ripercussioni anche negative sulla nostra civiltà, ma certamente anche passaggio e momento storico assolutamente determinante, nel bene e nel male, per essa; la lingua che rimase la lingua della scienza, nella quale anche Galileo e Newton scrissero, la lingua dell'ufficialità e della diplomazia, ma soprattutto la lingua della Chiesa Cattolica, che tenne unita l'Europa per più di mille anni, la lingua della sua liturgia, della sua teologia, della sua dottrina e dunque, data la compenetrazione oggi quasi inimmaginabile che si aveva nel Medioevo tra uomo e dimensione religiosa, dell'anima dei suoi fedeli, nostri padri e fratelli. Conoscere il latino significa, ovviamente, anche conoscere il patrimonio filosofico, letterario e storico non solo cristiano, ma anche - e forse soprattutto - classico, assolutamente basilare per l'esistenza stessa del cristianesimo e dell'Occidente come l'abbiamo conosciuto; conoscere il latino è, dunque, conoscere una lingua veramente universale, che ha oltrepassato e valico confini di spazio e di tempo, che ha creato un Impero padre del nostro presente e della nostra storia, che ha congiunto mirabilmente razionalità e profondità greca, saggezza e morigeratezza latina e spirito e fervore cristiano in un momento irripetibile che è stata la civiltà greco-cristiana. Che ha, insomma, antica ma mai vecchia, morta ma mai assente, cristallizzata ma mai fredda, immobile ma mai stantia, acronica ma mai anacronistica, plasmato il nostro stesso essere, la nostra stessa identità, ed è forse la nostra vera, prima, madre, lingua.
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