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In un locale notturno parigino, alla luce accesa e quasi impudica, nella sua vivezza, di una lampada a petrolio, ad un tavolino appartato, tondo e con gli zampi lavorati in ferro battuto, tra cameriere affrettate, vestite di pizzo, dagli occhi tristi e dalla faccia stanca, costrette a falsi e forzati sorrisi dall'incombenza della clientela, che vuole ridere, divertirsi, ballare e scherzare, tra le risa sguaiate e penetranti delle facoltose signore che siedono coi loro mariti, dignitosi uomini d'affari o di legge che, dopo una lunga giornata di lavoro, avranno pur diritto al loro svago serale, lasciando i figli a casa, magari con la balia, donna di periferia, buona vecchia un po' all'antica, che sa ancora accudire bene i bambini, tra la musica d'operetta che vuole ammaliare, coi suoi ritmi frenetici, accesi, sfrenati, e con la stridula voce della cantante che, osannata da bei giovanotti in frac, gode nel farsi lodare come una musa viziata, spassandosela a prendersi gioco di quei quattro bellimbusti, che come sono sciocchi e patetici a concedersi così, tra auliche iperboli e olimpiche declamazioni, chiedendo pietà alla Venere che ha trafitto il loro cuore, pur pronti, però, a mettere le mani addosso a quella sgualdrina, che non facesse tanto la locandiera, perchè prima o poi i conti con l'oste li devi fare, mio dolcissimo miele del Parnaso; tra i fumi delle sigarette, esalati da donne nel fiore degli anni, aiutate da uomini, amici, consorti o semplici conoscenti, che salgono al soffitto spandendosi lenti e sulfurei contro i lucernari tondi circonfusi di fioco lume arancione, tra le insegne pubblicitarie ammaliatrici e femminee degli alcolici che, con le loro curve e rotondità, allettano l'occhio del buon avvocato, già ampiamente provato da quelle, ben più concrete e gustose, delle cameriere e della cantante, che magari potessi toccare e sfiorare ogni sera, mentre mia moglie va al club con le amiche, le amiche che ora si lamentano della noia e della petulanza dei figli, bache mi lasciassero in pace, una buona volta, ma no, chiedono sempre attenzione, e sempre di più, ma insomma, sta! Non si può più vivere così!; tra gli sguardi ciechi e assenti dell'artista al tavolo accanto, bruciato dall'assenzio, e quelli sboccati della prostituta che sbatte con gusto le cosce sugli avventori, simulando urti e cercando nuovi clienti, tra il disgusto, la noia, il buio, il vuoto e l'angoscia, si consuma la vita dell'uomo moderno, dell'uomo giunto al termine dell'Ottocento, dell'uomo della "Belle Epoque". 
L'uomo del consumo, del divertimento, della scienza, del progresso e della ragione, l'uomo positivo, libero, realizzato: l'uomo che, tra il bagliore accecante che lo circonda, ha perso la sua strada, la sua via, offuscata dall'intermittenza dorata e frenetica di mille luci. Vorrei, in questa sede, offrire soltanto brevi spunti per una riflessione più vasta sul tema, cui mi auguro tutti i lettori possano venir portati da questo pezzo, che non ha tanto finalità saggistiche, quanto, appunto, di invito e di proposta, che spero possa venir accolta. Detto questo, potremmo partire, per dipingere alcuni tratti foschi di quest'epoca, 
da un'opera, la "Sonata a Kreutzer" di Lev Tolstoj. In essa, difatti, risuona una voce, potente e profonda, di protesta e di denuncia per il vuoto che colmava quegli anni- e non solo, chiaramente-, voce certo non unica, nè prima, ma significativa, emblematica per la sua radicalità e durezza, confinante coll'estremismo, particolarmente affiorante in momenti di grave incertezza e crisi, come certamente quello era. Ebbene, quest'opera è un romanzo breve del grande romanziere russo, che, già autore del capolavoro "Guerra e Pace", magnifico, ampio, vasto e sostenuto da un vigore quasi tellurico, datato 1869, circa dieci anni dopo iniziò a maturare una conversione spirituale, narrata, ad esempio, nelle sue "Confessioni", che lo portò a cambiare radicalmente stile di vita, e che fu in un certo senso l'esito di una vita di ricerca e di angosce. Questa conversione, che certamente meriterebbe di essere approfondita, ebbe come uno dei sostegni principali il Vangelo, e soprattutto il "Discorso della Montagna", riportato da S. Matteo, al quale Tolstoj volle adeguare integralmente e pienamente la propria esistenza. In questa sua esperienza, egli si trovò più volte a scontrarsi apertamente con le massime autorità russe, quali la Chiesa Ortodossa 
e lo Zar, per via delle sue effettive eterodossia e caparbietà, mosse però da sincero ed onesto sforzo "evangelizzatore". La sua dottrina, in sintesi, era improntata ad una severa moralità, esprimentesi nella frugalità dei costumi, nella demonizzazione della modernità e nell'apprezzamento di una visione rosseauiana della civiltà e dell'uomo, che sarà felice solo se semplice e "selvaggio", puro ed incorrotto dalla civiltà, nel disprezzo di ogni esteriorità, di ogni autorità al di fuori di quella del solo Dio, data unicamente nella Scrittura e nient'affatto nella tradizione ecclesiastica, nel vivo sforzo di aiutare e sostenere i bisognosi e, sopratutto, nel convinto ed intransigente pacifismo, che si basava su una stretta osservanza della non-violenza, cosa che poi fece amare particolarmente Tolstoj da Ghandi, che da lui imparerà molto. Nonostante paia che egli non amasse e non gradisse l'enorme successo che ebbe, in quegli anni, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, in Russia, la sua dottrina, che verrà poi chiamata "tolstoismo", questa, come già anticipato, ebbe una fortissima presa su larga parte della popolazione, cosa che portò alla nascita di comunità sorte su di essa. Ma è particolarmente interessante un suo aspetto, quello relativo al matrimonio. Celebrato in opere precedenti, qui il matrimonio viene letto sotto una luce estremamente negativa, e la "Sonata a Kreutzer" può ben essere considerata come un violento e duro attacco. Questa narra di un assassinio, quello compiuto da un uomo ai danni di sua moglie; ora, al di là della trama, è importante, per rilevare il sentimento di angoscia e smarrimento che sottende all'opera, soffermarci sulle considerazioni del primo, che rappresentano quelle dell'autore, sull'amore e sulla vita coniugale, che in quello è stata segnata da una costante infelicità, che poi terminerà in disgusto e follia omicida, pur essendo iniziata allo stesso modo di molte altre, con un idilliaco invaghimento, che ben presto lascerà il posto all'amarezza, alla disillusione ed alla gelosia, che sarà il movente del delitto, le cui cause andrebbero però cercate, come detto dall'autore stesso, nella terribile decadenza morale e spirituale dell'epoca. Dunque, egli sostiene che il matrimonio non sia retto da altro che da una volontà di sopraffazione, da un istinto bestiale volto a soddisfare egoisticamente le proprie pulsioni, accese dal corpo dell'altro, per il quale dunque non si prova vero amore, ma solo desiderio. Infatti, parlando in treno con due viaggiatori, il protagonista, di nome Pozdnysev, dirà, in risposta all'obiezione che i matrimoni sono sempre esistiti e sempre esisteranno:"(...) Esistono e continuano ad esistere soltanto per coloro che vedono nel matrimonio qualcosa di misterioso, un sacramento che li impegna davanti a Dio. Per loro il matrimonio esiste ancora, ma per noi no. Noialtri ci sposiamo non vedendo nel matrimonio altro che l'accoppiamento, e cosa ne vien fuori? O l'inganno o la violenza." Poi, quando gli viene chiesto come, senza procreazione, potrebbe perpetuarsi il genere umano:" Ma perchè mai il genere umano dovrebbe perpetuarsi? (...) E perchè dobbiamo vivere? (..) Se la vita ha uno scopo, allora è chiaro che essa dovrà finire quando questo scopo verrà raggiunto(..) Se lo scopo della vita è quello annunciato nelle profezie, e cioè che tutte le genti dovranno unirsi tra loro nell'amore, e lè lance dovranno venir fuse per poggiarne delle falci e così via, in tal caso cos'è che impedisce il raggiungimento di tale fine? Naturalmente le passioni. E tra tutte le passioni quella più forte, più perniciosa e più ostinata, è quella sessuale, cioè l'amore carnale. Dunque se le passioni verranno sradicate(.....), allora le profezie si compiranno, (..)lo scopo dell'umanità verrà raggiunto e non ci sarà più bisogno di vivere". Ora, è evidente la radicalità di questo sguardo, che vede macchiata di peccato ogni esperienza amorosa e coniugale, come verrà reso ancora più esplicito nella "Postilla", che fu aggiunta dall'autore a seguito di numeroso richieste di chiarimento giunte da molti lettori. È qui che si presenta con maggior nettezza la posizione di Tolstoj in merito, che dice:" L'ideale del cristiano è l'amore verso Dio e il prossimo, la rinuncia e il sacrificio di sè stesso a favore del prossimo. Invece l'amore carnale è qualcosa che è rivolto a noi stessi, e pertanto costituisce in ogni caso un ostacolo alla dedizione a Dio e agli uomini, e pertanto rappresenta una caduta e un peccato dal punto di vista cristiano". Quindi, in sintesi, non ci si dovrebbe sposare, ma intrattenere "casti rapporti di fratello e sorella". Ora, ciò che ci interessa, più che la fondatezza di queste teorie, è la loro radicalità, che è una risposta disperata ed accorata alla depravazione in cui si vedeva cadere il mondo. In totale contrasto con questo, queste non si accontentano della dottrina ecclesiastica, alla quale sono insofferenti, sentendo il bisogno di un'esperienza più profonda. È il contrasto, in conclusione, tra la sicurezza esteriore presentata da un sistema di valori dominante, com'era quello progressista e positivista, e tra le sue vistose falle, denunciate a viva voce da più fronti, a rendere interessanti e significative le risposte che ad esso vengono date, dal rifiuto delle convenzioni proprio dei "poeti maledetti", alle più svariate esperienze spirituali, garantite dallo svilupparsi di numerose sette e dottrine esoteriche, come la teosofia, alle quali sempre più borghesi, estenuati dalla mancanza di senso, ingenuamente forse, si affidavano. Quindi, il cuore della "Sonata a Kreutzer" è quello di essere un grido disperato, che vuole mostrarsi composto e sereno, con la codificazione di un codice di vita alternativo, che scaturisce dal vuoto di quegli anni, in cui per la prima volta l'uomo è venuto pienamente a contatto con una realtà consumistica e pienamente industriale, che voracemente ha prosciugato il suo animo, lasciandolo privato di una vera e soddisfacente dimensione spirituale, la cui essenzialità per lui è dimostrata dalla tenacia con cui essa venne cercata, con vari esiti, da sempre più individui, che non si fecero irretire, o perlomeno tentarono di non esserlo, dalle seduzioni della mera tecnica e delle "magnifiche sorti e progressive" già criticate da Leopardi, una delle grandi voci levate contro il materialismo che, allora come oggi, voleva colmare e nutrire l'uomo di tutto, senza dargli in realtà nulla, lasciandolo irrimediabilmente solo, disperato, alla ricerca di un senso e di una forma per la propria esistenza, ricerca insopprimibile e che nessuna droga o belletto artificiale, nessun narcotico commerciale potrà mettere a tacere, e la cui voce si alza sempre più patetica quanto più si tenta di silenziarla, cigno che nessuna gabbia, per quanto dorata, potrà mai contenere.

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