Passa ai contenuti principali

La rivolta contro l'insegnamento della letteratura? Colpa delle università


Una preparazione universitaria di stampo strutturalista è la causa di tanta disaffezione per la letteratura e la lettura nei giovani. Ma qualcosa sta cambiando.
Anche oggi sono tornato da una lezione di scrittura narrativa in un liceo della mia città dove i ragazzi che ho incontrato, pur essendo gran bei tipi, non sopportano Alessandro Manzoni e i suoi Promessi Sposi. È ormai una situazione frequente: la letteratura, questa straniera, questo corpo estraneo nelle scuole della Repubblica italiana. Numerosi insegnanti d'altronde confermano questa impressione: sembra che i testi classici, gli autori della nostra storia siano avvertiti sempre più come inutili orpelli al corso di studi istituzionale. Una vasto nonsenso, una caparbia stanchezza, una sotterranea rivolta verso l'insegnamento delle materie umanistiche striscia nella scuola italiana. La materia più affascinante, la storia, è schifata; la scrittura possibilmente evitata come un fastidioso mal di denti; dalla lettura la maggioranza dei ragazzi scappa a gambe levate, non appena ghermito il diploma. Ricordare le basse percentuali di lettori italiani è pleonastico. 

Ciò contrasta con altre esperienze avute di recente. A fine febbraio ho partecipato con un mio intervento ai "Colloqui Fiorentini", che da diciassette anni radunano nel capoluogo toscano migliaia di prof e studenti per ascoltare e poi rielaborare le tematiche letterarie proposte in focus e laboratori. Al Mandela Forum, il palasport di Firenze, avevo di fronte un "muro" di 3.500 persone convenute su quegli spalti ad ascoltare un mio intervento sulla poesia di Eugenio Montale. Oggigiorno non è normale. Soprattutto non è normale il fiume di lavoro, di ripresa, di contatti con prof e richieste di amicizia sui social, di gratitudine e di continuità scaturito da quell'oretta. Quello che ho cercato di fare consisteva nel raccontare che la poesia di Montale ci riguarda, ci parla ancor oggi, ci emoziona e ci interroga. Testi alla mano, li ho letti a quella fantastica platea non come se fosse una platea; ognuno di loro era all'altezza di Montale e viceversa, per me. Un ragazzo alla fine dell'incontro è venuto e, invece di chiedermi una foto come gli altri duecento, mi ha rivelato che la sua vita da quel momento era cambiata in meglio. Non volevo, giuro. Eppure è successo. 

La scuola, di ogni ordine e grado, è gravata da pesi di tipo burocratico e strutturale che stanno diventando dei macigni. C'è un'ansia di misurazione e di valutazione, ormai, che non stenterei a definire molestia docimologica. Più le statistiche e i raffronti internazionali si ostinano a certificare i nostri bassi livelli di istruzione, più aumentiamo le misurazioni e le valutazioni per capire dov'è l'inghippo e poi dare fantomatiche soluzioni al problema, col risultato di rendere sempre più stanco e gravoso il compito di chi insegna. La scuola purtroppo è un luogo in cui la maggior parte di chi va a insegnare o a imparare non è contento di andarci. Per chi si occupa di materie umanistiche il problema è doppio: se tutto sommato risulta semplice valutare la soluzione di un problema matematico o tecnologico oppure l'apprendimento di una legge fisica o chimica, se insomma in campo scientifico la valutazione dei risultati può essere più facilmente oggettiva, valutare quelli delle materie umanistiche è più difficile, scivoloso, spesso impalpabile, perfino quando si tratti di dare un voto all'uso della lingua italiana. 

Da qui uno strano complesso di inferiorità che investe i prof umanisti, che discende dall'università fino ai primi livelli della scala dell'istruzione (il pesce comincia a puzzare sempre dalla testa). E di qui il loro vano tentativo di adeguare le loro valutazioni a quelle inevitabilmente più scientifiche dei colleghi scienziati o tecnici. Non si capisce, stranamente, che se per questi ultimi il rapporto tra studioso e materia di studio si può definire come quello tra soggetto e oggetto, nel caso della letteratura l'oggetto di studio, un'opera letteraria o un autore, mantiene irrimediabilmente la sua natura di soggetto, come spiega assai bene la studiosa dostoevskjana Tat'jana Kasatkina. 

Insomma Dante, Leopardi, Manzoni, Montale e i loro libri vanno incontrati come persone prima che come oggetti; quando si parla di Petrarca si dovrà accennare, certo, alla struttura del sonetto, ma il discorso principale dovrà riguardare l'amore, in assenza e presenza dell'amata, perché di questo il poeta ha scritto. E così via. Si capisce bene che ridurre questo a test, questionari, voti e numeri è tutt'un'altra faccenda rispetto ai teoremi matematici o alle formule chimiche. E di tutt'altro tipo dovrebbero essere gli insegnanti, e le regole che la scuola impone loro nel rapporto coi ragazzi. Se infatti la scuola è innanzitutto e soprattutto una relazione educativa, questa sua natura è particolarmente evidente in campo umanistico e letterario. 

Sono concezioni che troppo lentamente stanno entrando nella mentalità dei docenti, ancora in nulla recepite da chi negli ultimi anni ha governato la scuola senza capire niente e che, d'altronde, pare sia stato severamente punito nell'ultima tornata elettorale. I Colloqui Fiorentini, che esistono grazie alla passione educativa e culturale di Gilberto e Pietro Baroni, bellissima testimonianza di sinergia tra padre e figlio, sono un po' più di una breccia nel muro statico e strutturalista della scuola italiana. Migliaia di docenti e decine di migliaia di studenti ci sono passati e hanno visto che uno sguardo diverso, cioè vero, alla letteratura è possibile. Una goccia scava la roccia, ma questa è una cascatella. Speriamo che vengano tempi in cui le indicazioni di un lavoro così prezioso ed entusiasmante arrivino anche allo sguardo di chi ha i mezzi per proporne il metodo a tutti.


FONTE: IL SUSSIDIARIO GIANFRANCO LAURETANO 
09 MARZO 2018 GIANFRANCO LAURETANO 



Commenti

Post popolari in questo blog

UNA SORPRESA INASPETTATA di T.Talarico

Clarissa si era appena seduta sul bordo del letto ,quando la sveglia suonò ,lei ormai si era alzata già da un po di tempo ,pensando a cosa il giorno le avrebbe riservato. Quello sarebbe stato un giorno molto importante ,infatti sarebbe andata in una nuova scuola , ancora si ricordava di quando aveva dovuto salutare le sue amiche , con la promessa che l’estate successiva si sarebbero riviste e rifletteva sul fatto che lei non sarebbe andata più a scuola con loro, gia si immaginava che Chiara, la sua migliore amica ,in quel momento ancora doveva decidere cosa mettersi per quel giorno , lei era stata sempre cosi , un’eterna indecisa , dall’altra parte pero c’era lei ,Clarissa , che al contrario di Chiara era una ragazza molto decisa e sicura . In quel momento però sembrava che la sicurezza,che aveva avuto fin da bambina , da quando ad esempio pur non sapendo nuotare non si era fatta intimorire dall’acqua e si era tuffata ,senza riflettere a quello che sarebbe successo in seguito,la stess

PENSIERI E RIFLESSIONI DAL VIAGGIO DI ISTRUZIONE IN GRECIA a.s. 2017-2018

Lasciare la Grecia è come lasciare una vecchia casa abbandonata e in rovina, una terra tradita; lasciare la Grecia è spezzare un legame che ogni volta si rinnova e si infrange: il pensiero va agli alberi in fiore, alle distese di ulivi e forte ritorna il profumo della zagara. Lasciare la Grecia vuol dire vedere a Patrasso ragazzi arrampicati sui cancelli per imbarcarsi clandestinamente. Lasciare la Grecia è triste e doloroso perché è un vecchio amico che non sai mai quando rivedrai.   Vera Valletta Leggi in coda al post i commenti di Pietro, Martina, Francesco, Maria, Marta e di tutti i partecipanti alla visita d'istruzione in Grecia o rivivi nel padlet i luoghi e le emozioni del viaggio. Quel verde lucente, quel viola che ti lascia senza fiato. Montagne rocciose, campi di ulivo infiniti. In un secondo, anni di storia, di arte, di versi omerici si presentano davanti a te sussurrando cose che, anche chi non sa, chi non conosce, riesce a capire. Finalm

In Romagna con il badile: la testimonianza di Kledi un nostro alunno della 5G Scienze Umane

I motivi che mi hanno spinto a fare il volontario in Emilia Romagna nonostante avessi quest’anno l’esame di maturità sono tanti e, tra questi, il principale è che mi sembrava giusto aiutare quelle persone che erano state colpite dall’alluvione, perché erano stati colpiti per una catastrofe naturale grave e pesante. Grazie a questo fatto, ho capito che nella vita non bisogna aspettare l’occasione, ma crearla. Nella vita mi sono sempre sentito in dovere di aiutare gli altri anche nelle piccole cose, perché aiutando gli altri poi mi sento bene con me stesso. Poi l’Emilia Romagna, come del resto tutta l’Italia, è un paese che amo alla follia e per dimostrare questo amore mi sono sentito in dovere di aiutare questo bellissimo paese e le persone che ci vivono. In quel giorno in cui sono andato ad aiutare, ho avuto l’onore e il privilegio di vedere la grandezza d’animo di tutte quelle persone che venivano da tutta Italia che lavoravano e aiutavano la popolazione colpita dall’alluvione. La cos