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UN ALTRO 23 MAGGIO

Un racconto, con tanto di premessa e nota esplicativa, scritto da Raffaele Piccirillo, della classe II AT, in relazione all'anniversario della Strage di Capaci, che cade il 23 maggio.

 

“In Sicilia la Mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere” Giovanni Falcone





PREMESSA

In uno Stato di diritto la giustizia è intesa come virtù rappresentata dalla volontà di rispettare il diritto di ognuno mediante l’attribuzione di quanto gli è dovuto, secondo la ragione e la legge, mentre, per legalità si intende il conformarsi alle prescrizioni della legge stessa.

Purtroppo esistono fenomeni che ledono questi due valori, tra cui la microcriminalità e, soprattutto, la criminalità organizzata. Se per la prima può bastare l’azione congiunta delle Forze di Polizia e della Magistratura, per la seconda è necessaria una strategia a media e lunga scadenza e ad ampio spettro. In particolare, nelle terre dove sono radicate queste realtà mafiose, vi è la necessità di un rilancio dell’economia che offra certezze e lavoro e, di pari passo, il rafforzamento di una Istituzione scolastica in grado di combattere la dispersione, investendo anche nell’educazione alla legalità.

Il 23 maggio 1992 un commando mafioso appostato su una collinetta all’altezza dello svincolo di Capaci dell’autostrada A 29, a Palermo, aspettò il passaggio delle auto del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta.

Nell’attentato morirono il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, gli agenti della Polizia di Stato Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, eroi che meritano di non essere dimenticati proprio per lo spirito di servizio nei confronti dello Stato che li ha portati all’estremo sacrificio.

Questo mio racconto è un omaggio a tutte le vittime della Mafia, sia quelle morte assassinate, sia quelle che ancora soccombono, poiché lasciate sole da uno Stato che non è in grado di proteggerle.

 


 

 

Ma perché la mamma ci ha detto che partiamo per le vacanze?        

 Oggi è il 24 maggio, la scuola non è ancora finita. Da quando ieri si è sentito quel terribile boato sembra che a casa siano tutti impazziti. Siamo in macchina da più di dieci ore, e poi chi li ha mai conosciuti questi parenti che vivono in Germania? Carmelina si è addormentata e io faccio finta di dormire, così posso ascoltare i discorsi dei grandi. Papà è nervoso e la mamma è preoccupata. Le sta dicendo che ieri c’è stato l’attentatuni, hanno fatto saltare in aria un magistrato e la sua scorta.  

Non riesco a capire tutto quello che dice, ma che minchia c’entra con noi? Sta fumando una sigaretta dopo l’altra e dice che quello, assieme a un altro, volevano scegliere un gruppo di magistrati che da Roma facevano tutte le indagini contro Cosa Nostra. E cosa c’è di male? 

La maestra ci dice sempre che la Mafia ci ruba il futuro.    

Sta dicendo alla mamma che possiamo stare tranquilli perché dove andiamo non sanno combattere la Mafia. Prima però dobbiamo andare in Svizzera per prendere dei soldi nascosti in una banca che nessuna legge può toccare, perché servono per stuppari l’occhi a unu1.  Anche i soldi che spediva al cugino Salvatore sono al sicuro, perché in Germania non hanno le leggi come le nostre. Dice: “Pensa se le leggi antimafia italiane le avessero anche gli altri paesi, se riuscissero a fermare il traffico di droga. E con cosa camperebbero le Mafie? I picciotti dovrebbero andare tutti a lavorare, magari diventando servi dello Stato come il papà di Antonino, oppure a lavorare la terra!” Ma perché papà dice queste cose?  Anche Antonino da grande vuole fare il carabiniere, vuole cambiare la Sicilia. La maestra Rosalia ci dice sempre che devono essere i giovani a cambiare le cose perché le vecchie generazioni sono troppo abituate a nascondersi dietro le persiane. Chissà di chi sta parlando, mica tutti tengono le persiane in Sicilia! A papà la mia maestra non piace, invece a me sì. Dice che parla troppo, che idda è ‘nanuci vacanti2. Ma se una maestra non parla che cosa deve fare? Chi ci spiega tutte le cose che dobbiamo imparare? La mamma sta piangendo, chiede se potremo telefonare ai nonni quando arriveremo in Germania. Lui le risponde che per un po’ di tempo non potrà farlo ma che prima o poi torneremo in Sicilia, perché è da lì che partono gli ordini. Dobbiamo solo aspettare per non finiri a fetu3. Ma gli ordini di chi? Ordini per fare cosa?  In Germania papà incontrerà altre persone che fanno il suo stesso lavoro, addirittura che vengono da altre nazioni: giapponesi, cinesi, russi. Io non ho mai capito di preciso che lavoro fa mio padre. So solo che è una brava persona perché al nostro paese tutti gli portano rispetto. Sta dicendo che un politico di Roma, quello che vediamo sempre in televisione con le orecchie a sventola e gli occhiali, sta lavorando per addolcire il carcere duro per i mafiosi e che spera che non aprano una scuola in Italia per insegnare ai magistrati europei come si combatte la Mafia. Ma perché dovrebbe interessarci, conosciamo qualche mafioso?                 

Però quanto è lungo questo viaggio in macchina, ho tanto sonno.                                                                                     

Finalmente siamo arrivati, Duisburg sembra una città tranquilla, non è come Palermo. Il cugino Salvatore sta dicendo a papà che sono stati trovati tanti mozziconi di sigarette vicino   all’ albero su cui si era sistemato quello che ha fatto saltare il magistrato, quello che ha schiacciato il bottone. Dice anche che hanno ammazzato Don Calogero perché ha voluto decidere tutto da solo, senza il permesso degli altri capi. Ma i capi di cosa? Gli raccomanda, d’ora in avanti, di guardarsi le spalle perché sicuramente lo verranno a cercare o gli sbirri o i picciotti.  Ma perché dovrebbero venire a cercare mio padre, che cosa ha fatto? Allora li conosce i mafiosi, allora è nu munzignaru4!                       

A casa papà dice alla mamma che il suo boss è morto e quindi ora siamo tutti in pericolo. Dice di essiri a tutti i botti5, anche fare l’infame.  Ma la mamma gli dice che con loro non si scherza, quelli ti trovano dappertutto. Non sono mica tutti come Don Masino che è ritornato dal Brasile con l’aereo e la scorta a muffiari6, e ora è al sicuro insieme alla sua famiglia. Dice che se lo ricorda mentre scendeva la scaletta dell’aereo con la coperta a righe che gli copriva i polsi.  Però, qui in Germania, i collaboratori non sanno nemmeno che cosa sono.  L’Europa non ha ancora capito come si combatte la Mafia. 

Ormai è più di una settimana che non usciamo di casa, ma oggi è il compleanno di Carmelina e vogliamo festeggiare al ristorante.   

Io e papà siamo già pronti e aspettiamo le femmine di casa in strada, vicino al cancello.  Una macchina nera sta arrivando ad alta velocità verso di noi.

Forse è meglio che mettirici la strata’mmenzu li gammi7, prima che ci investa.  Si sentono degli spari, vedo la mamma correre in mezzo alla strada, sento freddo.

Mamma perché stai gridando, chi è quel bambino insanguinato che stai abbracciando? Non piangere, guardami sono qui, perché non mi vedi?  Sulla strada ci sono due corpi insanguinati, uno è mio padre.    

La mamma sta dicendo alla polizia che vuole parlare con il magistrato amico di quello morto nell’attentatuni.

Forse aveva ragione il mio compagno di banco, Peppino, quando diceva che la Mafia è una montagna di merda.

Brava mamma, fai la cosa giusta, pensa a Carmelina.

Vicino a me c’è un signore con i baffi, tiene un sorriso simpatico, ha l’aria di una persona di cui ci si può fidare e poi l’ho già visto, forse in televisione. Mi appoggia una mano sulla spalla e mi dice di stare tranquillo.                                                                                                                               

La mamma sta andando via, secondo te ha paura?”                                                   “Ora non le può succedere più nulla, è in buone mani” 

“E tu come lo sai?”                                                                                                                            “Lo so…ragazzino, come ti chiami?”                                                                                  “Mi chiamo Salvo, e tu?”                                                                                                             “ Io Giovanni”.                                                                                                                                                                                               

 

Note:                                                                                              

1 stuppari l’occhi a unu (corrompere una persona con denaro)

2 idda è ‘nanuci vacanti (buono a nulla, solo a fare rumore)

3 finiri a fetu  (finire a malo modo)

4 nu munzignaru (un bugiardo)

5 essiri a tutti i botti  (disposto a tutto)

6 muffiari ( fare la spia)                                                      

7mettirici  la stata ‘mmenzu li gammi  (levarsi dalla strada)

                                       

                                                                           Raffaele Piccirillo



NOTA ESPLICATIVA DEL RACCONTO

La narrazione   (intreccio tra realtà e invenzione) parte dal giorno dell’attentato (il cd. Attentatuni cioè il grande attentato) al giudice Falcone e si dipana attraverso la fuga di colui  (nella realtà Giovanni BRUSCA, soprannominato lo scannacristiani) che schiacciò il bottone del telecomando che fece saltare il convoglio del Magistrato. Il racconto è narrato attraverso gli occhi, ancora innocenti, del figlio piccolo dell’attentatore che non sapeva chi realmente fosse il padre.

Il ragazzino capisce solo a tratti quello che il padre, durante la fuga (fatta passare per una vacanza) a Duisburg in Germania (luogo in cui è avvenuta una delle stragi più sanguinose della ‘Ndrangheta),  racconta alla madre. Non capisce, ad esempio, la sosta forzata in Svizzera ( uno dei cd. “paradisi fiscali” in cui le banche nascondono e fanno fruttare anche i soldi delle mafie).

Il passo dall’essere carnefice a  diventare vittima è breve e si concretizza quando il padre verrà ucciso, in perfetto stile mafioso, assieme allo stesso narratore, che nel frattempo ha diventa consapevole della  reale figura del genitore.

Nel momento del trapasso l’anima del ragazzino incontrerà quella del giudice Falcone.

 


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