Primavera Araba: tanto rumore per nulla?
Ancona, Dicembre 2010. Le vacanze di Natale si stanno avvicinando, siamo tutti impegnati con i preparativi, e noi a scuola aspettavamo con grandissima ansia la fine delle attività... Come succedeva ogni anno d'altronde. Quello che non sapevamo è che da lì a poco, dall'altra parte del Mediterraneo, sarebbe scoppiata quella che i media definiscono la "Primavera Araba".
Il 17 eravamo tutti raccolti in salotto quando apprendemmo da "AlJazeera" il tragico gesto di un certo "Mohamed Bouzizi", venditore ambulante tunisino che si era dato fuoco nella città di Sidi Bouzid, come risposta all'ennesimo abuso di potere delle forze dell'ordine. I miei ne parlarono a lungo quella sera, ma credo che nessuno dei due avesse la più pallida idea di cosa sarebbe successo nei giorni successivi.
Vedevamo ciò che succedeva in Tunisia su AlJazeera e non sulla Tv Nazionale per un semplicissimo motivo: da quando io avevo la capacità di ricordare, Tunis 7, non faceva altro che propaganda. Io che sono nato in Italia, se fossi cresciuto guardando solo Tunis 7, se non avessi visto con i miei occhi la Tunisia, avrei creduto che quel paese fosse il paradiso.
La tv di stato non raccontava mai dell'esercito di laureati senza impiego, né della corruzione, del clientelismo che regnavano nel mercato del lavoro e nell'amministrazione. Nessun accenno agli abusi della polizia o alle situazioni di disagio in cui vivevano moltissimi tunisini. Non stupitevi se i ragazzi erano pronti a rischiare la propria vita pur di scappare dal paese, attraversando il mare in un barcone.
La tv di stato non raccontava mai dell'esercito di laureati senza impiego, né della corruzione, del clientelismo che regnavano nel mercato del lavoro e nell'amministrazione. Nessun accenno agli abusi della polizia o alle situazioni di disagio in cui vivevano moltissimi tunisini. Non stupitevi se i ragazzi erano pronti a rischiare la propria vita pur di scappare dal paese, attraversando il mare in un barcone.
In poche parole, Tunis 7 era un canale completamente controllato dal regime. Il nome stesso rimandava al giorno in cui Ben Ali, l'ormai ex-presidente tunisino, si era insediato al governo.
Giorno dopo giorno le manifestazioni aumentavano, crescevano sempre di più i partecipanti e gli scontri con la polizia. Prima le manganellate e i lacrimogeni, poi i proiettili di gomma e infine i proiettili veri, chiamati in arabo "proiettili vivi" perché in grado di uccidere esattamente come un uomo. Poi i primi feriti, e infine i morti. Ogni giorno. Tutto ciò non faceva altro che alimentare la rabbia che stava esplodendo in quel periodo. Eravamo molto preoccupati per i nostri parenti a Tunisi, la capitale che nel frattempo era diventata il cuore delle manifestazioni. Li sentivamo ogni sera, e ogni sera la situazione andava via via peggiorando. Uscire di casa era rischiosissimo, sia per i controlli della polizia che non avrebbe esitato a spararti a vista dopo un certo orario, sia per il pericolo di rimanere coinvolti nelle proteste.
Il presidente sembrava resistere. Nascosto nel suo villone pieno di denaro sporco, protetto da poliziotti con la coscienza ancora più sporca. In 23 anni nessuno aveva osato ribellarsi a lui, quelli che lo stavano facendo erano solamente 4 teppisti, tanto valeva sopprimerli. Perché preoccuparsi?
Intanto continuavano a salire i morti, centinaia di persone. Ancora di più i feriti, molti di loro, mutilati, portano a vita sul corpo i segni di un regime sanguinario. La situazione era più instabile che mai. L'esercito non prende posizione, fino a quando i soldati stessi, per loro iniziativa, cominciano a simpatizzare con i manifestanti, d'altronde il loro dovere era proteggere la nazione. Ricordo che negli ultimi giorni c'erano stati perfino degli scontri tra esercito e polizia.
Prendendo finalmente coscienza della gravità della situazione, il 13 gennaio, il presidente Ben Ali, tenne un discorso alla nazione, Lo seguimmo anche noi in tv. Papà era commosso, credeva che avrebbe finalmente annunciato le dimissioni. Lo speravano milioni di tunisini. E invece no. Ancora oggi di quel discorso ricordo due frasi che Ben Ali ripeteva più volte: "Vi ho capiti. Ebbene sì, vi ho capiti". Dichiarava di aver capito le esigenze del popolo, che avrebbe stanziato milioni per la salute, per l'istruzione, che avrebbe ordinato alla polizia di non sparare sui manifestanti. Il suo più grande errore però è stato continuare a definire gli oppositori come criminali. La Tunisia non glielo avrebbe mai perdonato.
Il giorno dopo mettemmo subito su AlJazeera e ricomparvero le migliaia di persone che chiedevano la testa del Presidente, per niente convinti dal discorso della sera prima.
Dopodichè passammo a Tunis 7. Quello che vidi mi lasciò sconcertato: fiumi di gente che esultava e gridava il nome di Ben Ali. Visto come sono andate a finire le cose, ancora oggi mi chiedo dove abbiano trovato tutta questa gente.
Verso le 16:00 ero in cameretta, quando appresi che Ben Ali aveva intimato al comandante delle forze armate l'intervento dell'esercito per schiacciare le proteste. Rachid Ammar, questo il nome del generale, a differenza dei suo colleghi negli altri paesi arabi nei mesi dopo, rifiutò di obbedire. Divenne l'eroe della rivoluzione.
Sentii papà urlare. Mi precipitai in salotto, e lo vidi con un sorriso che non avevo mai visto. Era la felicità in persona, continuava ad esultare, piangere, ridere, tutto insieme. In tv AlJazeera stava trasmettendo il discorso di un signore anziano, nella stessa stanza da cui il giorno prima Ben Ali aveva fatto il suo discorso, con tanto di logo presidenziale.
Era il primo ministro che leggeva le dimissioni del presidente.
Ho ricordi vaghi di quello che accadde nei giorni successivi, ricordo molto bene però il clima di ottimismo ed euforia generale in cui riversava la Tunisia. Tunis 7 cambiò nome in "La nazionale". Cominciò a trasmettere interviste alla gente comune, chiedendo loro un parere su tutto quello che era successo e cosa si aspettassero da tutto ciò. Tutti sembravano pensare che il benessere era ormai alle porte ora che Ben Ali non c'era più, perlomeno erano tutti contenti di poter dire la loro alla tv nazionale senza il rischio di finire in galera nel caso avessero espresso un parere negativo sul governo.
Da bambino in estate scendevamo giù in Tunisia, e ricordo una volta in cui discutevo in strada con mio cugino del fatto che nessuno osava parlare del presidente e della moglie. Da bravo bambino feci esattamente quello che mi dicevano di non fare e gridai una vecchia frase derisoria sul presidente che mi aveva insegnato papà, e mio cugino mi diede una sberla dicendomi che non era uno da prendere alla leggera. Tutto ciò a me sembrava una cosa totalmente assurda: in Italia chiunque poteva farlo, esprimere un parere negativo e perfino prendere in giro o insultare i politici.
Riconsiderando tutto questo, riuscivo a capire, quindi, la soddisfazione dei tunisini intervistati che dicevano la propria in tv.
Tutto questo fu solamente il principio della primavera araba. Una decina di giorni dopo le dimissioni di Ben Ali, gli egiziani si riversarono a migliaia nelle piazze chiedendo le dimissioni del presidente.
Poi toccò alla Libia, e poi ancora in Siria e poi in quasi tutti i paesi arabi. Finalmente la gente prese coscienza della propria situazione e cominciò a rivendicare il diritto di cambiarla.
Ciò non significa che ci fu in tutti i casi un lieto fine. In Tunisia, da cui partì tutto, le uniche cose che sembrano cambiate da allora, e che prima non esistevano neppure, sono le elezioni democratiche e l'ammissione di più partiti ad esse. Fino a quel momento alle elezioni potevi solamente votare il partito di Ben Ali, che stravinceva ogni volta: in pratica una farsa.
Per il resto oggi ci sono quasi le stesse leggi di prima e lo stesso malessere che, anzi, sta crescendo per l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.
In Egitto, dopo le dimissioni del presidente Mubarak, le elezioni portarono un apparente equilibro che si ruppe poco dopo la vittoria di Morsi, che si era insediato con il nuovo governo: scoppiarono nuove proteste guidate dai suoi avversari politici, che terminarono con un colpo di stato del generale egiziano Al-Sisi.
In Libia le proteste si trasformarono in una vera e propria guerra civile, con l'esercito spaccato a metà, tra chi sosteneva il regime e chi i ribelli. La guerra finì quasi 9 mesi più tardi, con la cattura del presidente Muammar Gheddafi. Il conflitto devastò il paese, tra milioni di rifugiati ed intere città distrutte.
Oggi, la stabilità politica in Libia è ancora lontana: il nuovo governo infatti ha quasi perso totalmente il controllo effettivo del territorio nazionale, che adesso è in mano a varie milizie armate, che avevano combattuto durante la guerra civile.
In Siria si sono verificate le stesse dinamiche della Libia, con la differenza che la guerra civile dura ancora, complicata dall'infiltrazione dell'Isis sul suolo siriano.
Le proteste che scoppiarono in tutti gli altri paesi si risolsero, nella maggior parte dei casi, in un cambiamento politico, che spesso non ha coinciso con un cambiamento sociale.
Prendendo in considerazione tutto questo si può dire che la "Primavera Araba" non è stata un grandissimo successo. Fu un'ottima occasione di cambiamento, di stravolgimento politico e sociale che avrebbe potuto migliorare la situazione di milioni di persone e modificare totalmente gli equilibri e gli assetti internazionali, ma che per ragioni difficilmente individuabili fu una possibilità mancata.
Giorno dopo giorno le manifestazioni aumentavano, crescevano sempre di più i partecipanti e gli scontri con la polizia. Prima le manganellate e i lacrimogeni, poi i proiettili di gomma e infine i proiettili veri, chiamati in arabo "proiettili vivi" perché in grado di uccidere esattamente come un uomo. Poi i primi feriti, e infine i morti. Ogni giorno. Tutto ciò non faceva altro che alimentare la rabbia che stava esplodendo in quel periodo. Eravamo molto preoccupati per i nostri parenti a Tunisi, la capitale che nel frattempo era diventata il cuore delle manifestazioni. Li sentivamo ogni sera, e ogni sera la situazione andava via via peggiorando. Uscire di casa era rischiosissimo, sia per i controlli della polizia che non avrebbe esitato a spararti a vista dopo un certo orario, sia per il pericolo di rimanere coinvolti nelle proteste.
Il presidente sembrava resistere. Nascosto nel suo villone pieno di denaro sporco, protetto da poliziotti con la coscienza ancora più sporca. In 23 anni nessuno aveva osato ribellarsi a lui, quelli che lo stavano facendo erano solamente 4 teppisti, tanto valeva sopprimerli. Perché preoccuparsi?
Intanto continuavano a salire i morti, centinaia di persone. Ancora di più i feriti, molti di loro, mutilati, portano a vita sul corpo i segni di un regime sanguinario. La situazione era più instabile che mai. L'esercito non prende posizione, fino a quando i soldati stessi, per loro iniziativa, cominciano a simpatizzare con i manifestanti, d'altronde il loro dovere era proteggere la nazione. Ricordo che negli ultimi giorni c'erano stati perfino degli scontri tra esercito e polizia.
Prendendo finalmente coscienza della gravità della situazione, il 13 gennaio, il presidente Ben Ali, tenne un discorso alla nazione, Lo seguimmo anche noi in tv. Papà era commosso, credeva che avrebbe finalmente annunciato le dimissioni. Lo speravano milioni di tunisini. E invece no. Ancora oggi di quel discorso ricordo due frasi che Ben Ali ripeteva più volte: "Vi ho capiti. Ebbene sì, vi ho capiti". Dichiarava di aver capito le esigenze del popolo, che avrebbe stanziato milioni per la salute, per l'istruzione, che avrebbe ordinato alla polizia di non sparare sui manifestanti. Il suo più grande errore però è stato continuare a definire gli oppositori come criminali. La Tunisia non glielo avrebbe mai perdonato.
Il giorno dopo mettemmo subito su AlJazeera e ricomparvero le migliaia di persone che chiedevano la testa del Presidente, per niente convinti dal discorso della sera prima.
Dopodichè passammo a Tunis 7. Quello che vidi mi lasciò sconcertato: fiumi di gente che esultava e gridava il nome di Ben Ali. Visto come sono andate a finire le cose, ancora oggi mi chiedo dove abbiano trovato tutta questa gente.
Verso le 16:00 ero in cameretta, quando appresi che Ben Ali aveva intimato al comandante delle forze armate l'intervento dell'esercito per schiacciare le proteste. Rachid Ammar, questo il nome del generale, a differenza dei suo colleghi negli altri paesi arabi nei mesi dopo, rifiutò di obbedire. Divenne l'eroe della rivoluzione.
Sentii papà urlare. Mi precipitai in salotto, e lo vidi con un sorriso che non avevo mai visto. Era la felicità in persona, continuava ad esultare, piangere, ridere, tutto insieme. In tv AlJazeera stava trasmettendo il discorso di un signore anziano, nella stessa stanza da cui il giorno prima Ben Ali aveva fatto il suo discorso, con tanto di logo presidenziale.
Era il primo ministro che leggeva le dimissioni del presidente.
Ho ricordi vaghi di quello che accadde nei giorni successivi, ricordo molto bene però il clima di ottimismo ed euforia generale in cui riversava la Tunisia. Tunis 7 cambiò nome in "La nazionale". Cominciò a trasmettere interviste alla gente comune, chiedendo loro un parere su tutto quello che era successo e cosa si aspettassero da tutto ciò. Tutti sembravano pensare che il benessere era ormai alle porte ora che Ben Ali non c'era più, perlomeno erano tutti contenti di poter dire la loro alla tv nazionale senza il rischio di finire in galera nel caso avessero espresso un parere negativo sul governo.
Da bambino in estate scendevamo giù in Tunisia, e ricordo una volta in cui discutevo in strada con mio cugino del fatto che nessuno osava parlare del presidente e della moglie. Da bravo bambino feci esattamente quello che mi dicevano di non fare e gridai una vecchia frase derisoria sul presidente che mi aveva insegnato papà, e mio cugino mi diede una sberla dicendomi che non era uno da prendere alla leggera. Tutto ciò a me sembrava una cosa totalmente assurda: in Italia chiunque poteva farlo, esprimere un parere negativo e perfino prendere in giro o insultare i politici.
Riconsiderando tutto questo, riuscivo a capire, quindi, la soddisfazione dei tunisini intervistati che dicevano la propria in tv.
Tutto questo fu solamente il principio della primavera araba. Una decina di giorni dopo le dimissioni di Ben Ali, gli egiziani si riversarono a migliaia nelle piazze chiedendo le dimissioni del presidente.
Poi toccò alla Libia, e poi ancora in Siria e poi in quasi tutti i paesi arabi. Finalmente la gente prese coscienza della propria situazione e cominciò a rivendicare il diritto di cambiarla.
Ciò non significa che ci fu in tutti i casi un lieto fine. In Tunisia, da cui partì tutto, le uniche cose che sembrano cambiate da allora, e che prima non esistevano neppure, sono le elezioni democratiche e l'ammissione di più partiti ad esse. Fino a quel momento alle elezioni potevi solamente votare il partito di Ben Ali, che stravinceva ogni volta: in pratica una farsa.
Per il resto oggi ci sono quasi le stesse leggi di prima e lo stesso malessere che, anzi, sta crescendo per l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.
In Egitto, dopo le dimissioni del presidente Mubarak, le elezioni portarono un apparente equilibro che si ruppe poco dopo la vittoria di Morsi, che si era insediato con il nuovo governo: scoppiarono nuove proteste guidate dai suoi avversari politici, che terminarono con un colpo di stato del generale egiziano Al-Sisi.
In Libia le proteste si trasformarono in una vera e propria guerra civile, con l'esercito spaccato a metà, tra chi sosteneva il regime e chi i ribelli. La guerra finì quasi 9 mesi più tardi, con la cattura del presidente Muammar Gheddafi. Il conflitto devastò il paese, tra milioni di rifugiati ed intere città distrutte.
Oggi, la stabilità politica in Libia è ancora lontana: il nuovo governo infatti ha quasi perso totalmente il controllo effettivo del territorio nazionale, che adesso è in mano a varie milizie armate, che avevano combattuto durante la guerra civile.
In Siria si sono verificate le stesse dinamiche della Libia, con la differenza che la guerra civile dura ancora, complicata dall'infiltrazione dell'Isis sul suolo siriano.
Le proteste che scoppiarono in tutti gli altri paesi si risolsero, nella maggior parte dei casi, in un cambiamento politico, che spesso non ha coinciso con un cambiamento sociale.
Prendendo in considerazione tutto questo si può dire che la "Primavera Araba" non è stata un grandissimo successo. Fu un'ottima occasione di cambiamento, di stravolgimento politico e sociale che avrebbe potuto migliorare la situazione di milioni di persone e modificare totalmente gli equilibri e gli assetti internazionali, ma che per ragioni difficilmente individuabili fu una possibilità mancata.
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