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Le terzine di Serafino Gubbio


Serafino Gubbio stesso si definisce “una mano che gira la manovella”: il suo lavoro è quello di registrare impassibilmente le scene che gli si svolgono davanti. 

Direttamente dal 53° Convegno di studi pirandelliani di Agrigento, dalla Concorso Scrittura Creativa: un gruppo di studenti della  4Cm ha riscritto la conclusione del romanzo “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” in terzine dantesche, operazione inconsueta e stimolante…Eccole.

Siam diventati macchina del tutto
da quando con freddezza abbiam mangiato
la scena finta dal reale lutto.
Abbiam così le note completato,
si chiude il sipario: il silenzio intorno
condannati a ricordare il passato.

Or narreremo i fatti di quel giorno
che dal protestar del Nuti hanno inizio.
Lui disse: “Non voglio nessuno attorno!”

per nulla gradendo il loro giudizio.
E il Polacco: “C’è Gubbio nella gabbia
a girare la scena del supplizio!”

Così si scatenò la nostra rabbia:
non v’era necessità di attenzione.
La nostra presenza non era dubbia.

Fu rispettata la nostra opinione,
eppure gli uomini furono armati
mentre le tigri erano nel gabbione.

L’una lì, coi suoi artigli spiegati
pronta a sfidare la sua controparte,
l’altra discosta con gli occhi abbassati
con l’orso parlando stava in disparte.
Rivolto al suolo il suo falso sorriso,
non ci incantava la sua celebre arte.

Guardammo il Nuti: teso aveva il viso
e col suo vestito da cacciatore
ad affrontar l’una e l’altra deciso.

Ci sistemammo nel punto migliore
e il Nuti scostò da un lato le fronde
sulla scena, architettando l’errore;

a noi erano ignote le sue tremende
intenzioni, e fummo pronti a girare.
Come fra i fili il ragno si nasconde

aspettando un insetto da assaltare,
la tigre in agguato, la schiena arcuata,
aguzze le zanne, pronta a saltare.

La mano si muoveva non guidata
per nutrire la macchina da presa,
di sangue e lacrime sempre affamata.

Lo vedemmo lì con la canna tesa
da una tigre all’altra spostar la mira
per poi sparare alla belva indifesa,

ed ecco l’altra attaccare con ira:
del cacciatore il corpo dilaniava,
lui e lei una cosa sola erano ora.

Tutt’intorno c’era gente che urlava
per la donna caduta a terra morta
mentre la mano a girar seguitava.

Ci spaventammo per la sorte incerta,
finché non ci salvò una rivoltella
e ci trassero fuori dalla porta.

Non si era arrestata la manovella
che a tre vite aveva dato il saluto
in quella cupa mortifera cella.

Demmo alla Casa un grosso contributo
col tragico film girato quel dì,
e noi muti per il trauma vissuto.

Non avremmo supposto che così
sarebbe finita la nostra storia:
noi salvi, soli, nel silenzio qui,

costretti a vivere nella memoria
il dramma che per sempre ci ha segnati,
senza curarci di soldi e di gloria.

Grazie a tutti per averci aiutati,
ma un vero operator non si ritira,
noi in questo silenzio siamo appagati,


io e questa macchina: “Attenti, si gira…”

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