Il patto di Chiara Serafino
“Oggi è una bella
giornata per stringere un patto!”
Il sole è oscurato da
grandi nuvole scure e il prato riflette il grigiore del cielo.
Sento un intenso odore
di disperazione provenire dal castello del re e inizio ad affrettare il passo.
Il dolce profumo è
sempre più vicino e decido di materializzarmi direttamente nel luogo, fonte di
così tanto tormento.
Davanti ai miei occhi c’è
una bambina, vestita di miseri stracci ricoperti di polvere, tremante e con il
volto rigato di lacrime; appena mi vede spalanca gli occhi e smette di
singhiozzare.
“Buona sera,
madamigella mugnaia, perché‚ piangi tanto?”
La bambina mi guarda
come se non avesse mai visto un essere umano in vita sua, questa cosa mi
spazientisce…
“Ah” rispose la fanciulla“devo
filare l’argento dalla paglia e non sono capace!”
Sento spuntare il mio
sorriso maligno prima ancora che la bambina lo veda.
“Che cosa mi dai, se te
la filo io?”
La poverina ci pensa un
attimo e poi risponde risoluta “Il mio fermaglio per i capelli”.
Soddisfatto tendo la
mia mano verso la creaturina e controllo la fattura dell’oggetto: ha una strana
aurea che lo circonda e la mia protetta deve essersi accorta di come sono
assorto nella mia contemplazione…
“Era della mia mamma,
però se puoi aiutarmi ti prego di accettarla, per favore, non voglio essere
condannata a morte”. Qualcosa, all’udire queste parole provenire da quella
giovane bocca, mi si rivolta dentro e allora mi siedo davanti alla rotella e
frr, frr, frr tiro il filo tre volte e il fuso è pieno. Poi ne introduco un
altro e frr, frr, frr, tiro il filo tre volte e anche il secondo fuso è pieno…
Vado avanti così fino
al mattino: ed ecco tutta la paglia è filata e tutti i fusi sono pieni d’argento.
Appena il sole inizia a farsi alto nel cielo mi dileguo subito, ma sento che
questo è solo il mio primo incontro con questa bambina.
Trascorro la mia
giornata tra un affare e un altro ed esattamente al tramontare del sole sento
la stessa sensazione di ieri sera e decido di tornare da quella che presumo
essere la figlia del mugnaio.
Questa volta è ancora
più impaurita, in una stanza ancora più grande e con dentro ancora più fusi dei
precedenti.
Appena mi vede le si
illumina il volto.
“Salve signor mago, ti
prego aiutami, il re vuole che io fili l’oro da tutta questa paglia e se non ci
riuscirò entro stanotte ucciderà tutta la mia famiglia. In cambio sono disposta
a darti l’ultima cosa che mia madre mi ha donato… il suo anello. Ti prego di
prenderlo in cambio del tuo aiuto.”
Anche questa notte la passai
a filare la paglia per quella strana bambina che non aveva colpe e stava
stringendo accordi con me senza
sapere a cosa stesse andando incontro.
Ora che ci penso non so
nemmeno il nome di questa ragazzina, eppure continuo ad accorrere appena
percepisco il minimo sentore di pericolo per lei.
Non esco di casa per un
giorno intero, ma so già che stanotte sarò di nuovo al castello pronto ad
aiutarla. Infatti, quando ormai il sole era scomparso, la mia piccola protetta mi
cerca.
Questa volta si trova
in una stanza sontuosa, piena di pietre, ma stasera non piange, no. Stasera mi
guarda dritto negli occhi. La vedo muovere le labbra e dire “Insegnami a
trasformare in diamanti queste pietre”. Sono totalmente sconvolto. Mai nessuno
mi ha chiesto di insegnargli i miei saperi.
Con un ghigno perfido
mi rivolgo a lei chiedendole “Cosa mi darai in cambio? L’anello era il tuo
ultimo avere...”
Lei mi risponde
determinata “Tutto ciò che vuoi, perché se mi aiuterai stasera diventerò regina
e potrai avere qualsiasi cosa tu desideri.”
Rimango al centro della
stanza inebetito per quelli che a me sembrano venti minuti e poi sogghignando
le dico “Tra due anni esatti tornerò qui e tu mi dovrai il tuo primogenito”.
Chi è che accetterebbe un simile patto? Solo una persona disperata che non sa
quello che fa. E io spero che lei sia questo tipo di persona, perché desidero
ardentemente qualcuno al mio fianco che mi faccia compagnia e da poter allevare
io stesso. Come previsto la giovinetta si mostra in un primo luogo titubante,
ma prima o poi ogni uomo agisce per i propri interessi, per tenersi stretto
quella misera vita che conduce, questo io lo so bene. Dopo qualche minuto stringiamo
il patto e mi trovo costretto a rispettare la mia parte di accordo.
Ci sediamo davanti al
primo gruppo di pietre e le insegno a trasformare in diamanti quelle pietre
irregolari e grezze.
“Il vero segreto è
riuscire a incanalare la tua rabbia in modo tale da poter compiere grandezze di
cui nessuno ti crede capace”, all’udire queste parole qualcosa scatta nella
bambina, me ne accorgo dal suo sguardo, e in meno di quattro ore la stanza è
piena di pietre preziose.
“Oggi è una bella
giornata per riscuotere un pagamento!”
Questo è il mio primo
pensiero appena apro gli occhi.
Sono passati due anni
esatti dal giorno dell’accordo con quella che era una bambina.
Quello che nessuno sa e
che io stesso preferisco non ammettere a me stesso che in questi due anni ho
assistito al lento scorrere della sua vita e degli avvenimenti che si sono
susseguiti dal momento in cui l’ho lasciata sola in quella enorme stanza.
Una settimana fa ha
dato alla luce uno splendido bambino con gli occhi verde smeraldo come i suoi.
Mancano solo poche ore
alla mia riscossione… meglio stipulare altri accordi mentre attendo, il tempo è
denaro.
Il sole è tramontato da
qualche ora e io mi materializzo davanti alla mia “cliente”, pronto a prendere
quello che mi spetta.
La regina ci impiega
qualche minuto a ricordarsi chi sono, e ovviamente mi nega quel che mi deve.
“Vi prego, prendete
tutto ciò che volete, ma lasciatemi mio figlio, il mio bene più prezioso. Vi
darò tutte le ricchezze del tesoro se vorrete. Ma mio figlio no, vi supplico.”
“Mi spiace mia piccola
cara, ma lo avete scelto voi due anni or sono. Tuttavia, dato che sono una
persona benevola, vi concedo cinque giorni per scoprire il mio nome. Se ci
riuscirete il bambino resterà qui con voi, il debito sarà saldato e io non farò
più ritorno.”
Sono passati quattro
giorni da quando il mago aveva dato il suo ultimatum alla regina.
La donna aveva mandato messaggeri
in tutta la contea e fatto interrogare tutti i saggi dei dintorni riguardo l’identità
del giovane, ma nessuno lo conosceva. Grazie a un suo fedele servitore venne a
conoscenza della sua dimora: una casetta sperduta in una landa desolata.
“Io, Sophie, regina di
questo regno, mi rifiuto di cedere il mio primogenito, l’erede al trono, ad un
mago per colpa di un errore giovanile.” La giovane regina ripeté queste parole
per tutto il tragitto mentre galoppava sul suo candido cavallo e stringeva tra
le braccia il suo figlioletto. Poi un altro pensiero si fece strada nella sua
mente poco prima di arrivare a destinazione… in quei due anni, quello che era
stato suo aiutante e maestro non era cambiato minimamente, non una ruga solcava
il suo viso giovane e fresco.
Smontata da cavallo si
affaccia all’interno dell’oscura dimora e proprio sul muro dinanzi a lei vede
un quadro… ma non un quadro qualsiasi… il soggetto raffigurato è vecchio e
deturpato da ferite e brutture indicibili. Ha un paio di occhi rossi come il
sangue e luminosi come le fiamme. Un ghigno candido illumina come un lampo l’oscurità
della casa, un ghigno che aveva già visto in vita sua.
In un angolo della
stanza c’è una specie di altare sacrificale, un tavolo di pietra massiccia
incavato nel pavimento, e davanti un cumulo di cenere.
Una cantilena si fa
strada nell’aria consumata che regna in quella casa.
Le parole si fanno
sempre più chiare.
La cantilena sempre più
insistente.
"Oggi fo il pane,
la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani il figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,
Ch”io porto il nome di Tremotino!"
la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani il figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,
Ch”io porto il nome di Tremotino!"
La regina si gira in
tempo per vedere l’uomo nel dipinto prendere vita.
È un attimo.
Due mani la afferrano
per la gola e iniziano a tirare.
Uno strattone le
strappa il bambino dalle braccia e lei si sente risucchiata dal dipinto.
Lì dentro ci sono
uomini e donne abbattuti, privi di ogni voglia di vivere.
E poi lo vede.
Il vecchio del dipinto.
Avvicinandosi sempre
più vede.
Vede quegli occhi.
La bocca.
Le movenze.
E capisce.
Capisce di non aver
firmato un semplice accordo con un bel mago.
Quel giorno di due anni
fa lei ha firmato un patto col diavolo.
Ecco perché lui è sempre giovane.
Ecco perché era sempre
lì per lei.
Ecco perché le aveva
fatto firmare il contratto.
Le aveva fatto
scegliere la sua stessa rovina, la causa del suo dolore.
Tremotino.
Tremotino è il male.
Correndo oltre il
vecchio e le altre persone si affaccia alla cornice e riesce a vedere il mago.
Egli con occhi di fuoco
tiene tra le braccia il suo adorato bambino e lo culla.
La regina inizia ad
urlare “Tremotino, è questo il tuo nome, l’accordo è saltato, il bambino è mio,
fammi uscire e lascia mio figlio.”
Ma il giovane non la
sente. È totalmente assorto nella contemplazione di quella creaturina rosa
urlante, che lo guarda con occhi verdi e imploranti, proprio come la madre fece
due anni prima…
Che forse si fosse
innamorato di lei?
Lui, Tremotino,
innamorato di una ragazzina a cui aveva offerto servigi?
Una ragazza che lo
aveva tradito, entrando in casa sua per ingannarlo e non dagli quanto gli
spettava?
No.
Quello non era amore.
Era stato un semplice
momento di debolezza.
Lui non è fatto per
queste cose.
Si gira verso il quadro
e vede quella che ora è quasi una donna di tutto punto piangere e offrirgli
tutti i beni del regno.
Sembra di essere
tornato indietro nel tempo.
Quella stanza. La
paglia.
Ma lei non ha mai
voluto nient’altro che aiuto per raggiungere i suoi scopi e salvare la sua
misera vita.
Proprio come suo padre
che lo vendette per poter fare il giramondo e condurre una vita felice.
No.
L’amore non è per lui.
E poi…
Come fa un uomo senza cuore
ad amare?
Tremotino si era
privato di quel coso tanto tempo fa.
Ora è il momento degli
affari.
La regina sarebbe
rimasta lì dentro con gli altri per il resto della sua miserabile vita.
E quel bambino… quel
bambino doveva morire.
Portava con sé ricordi
troppo pesanti.
Però qualcosa doveva
pur ricavarlo.
Tremotino si volta
verso la ragazza che scopre, tra un urlo e l’altro, chiamarsi Sophie, tira su
il bambino tenendolo per un piede e con un coltello incide il suo piccolo petto
estraendo il suo cuoricino palpitante.
Il sangue caldo cola
sulle sue mani e il rosso inizia a tingere l’altare.
L’anima del piccolo
vola via, verso l’alto, insieme alle urla della madre.
Un attimo dopo il
corpicino arde sul cumulo e quel piccolo cuore ha una nuova dimora, un nuovo
petto da abitare. Ma la sua piccola e innocente natura non piegheranno l’anima
del demone.
Con il suo solito
ghigno si volta verso Sophie ed esclama
“Oggi è un bel giorno
per stringere un patto!”
Con queste parole esce
chiudendo la porta.
L’ultima cosa che la
donna vede è la fiamma spegnersi.
Poi delle mani la
afferrano e la portano verso un lugubre tavolo con a capotavola un cappellaio
schizofrenico.
È l’ora del thè.
Il rumore diventa
assordante.
L’odore della vernice
le entrò con violenza nelle narici.
Violet si svegliò
improvvisamente.
Si era assopita
leggendo.
Si guardò intorno e la
candide pareti della biblioteca del liceo la accolsero come in un confortante
abbraccio.
Tra le mani stringeva
un libro con la copertina logora e le pagine ingiallite.
Guardò l’ultima pagina
e vide il disegno di un grande rogo.
Tremotino era riuscito
a riscuotere il suo debito.
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