I’m Calling You From the Future to Let You Know We’ve Made a Mistake





Ehi Ronnie. Sono io, Jessie.
Se stai ascoltando questa registrazione significa che mi è successo qualcosa e quindi il piano non è andato come pensavo.
Il piano, beh, non era semplice. Per molti non era nemmeno realizzabile in primo luogo, ma adesso posso dire che si sbagliavano. Il fatto che sia riuscita a metterlo in atto ne è la prova.
Quanto al suo conseguimento…come ti ho detto, non è andato come speravo.
Cosa ho combinato ti starai chiedendo.
Beh, non per vantarmene, ma ho viaggiato nel tempo.


15/12/20XX

«Ehi»
«Che cosa vuoi?»
«Quello è il mio barile. Sparisci»
«Non vedo mica il tuo nome scritto sopra. E come si sa bene chi prima arriva meglio alloggia»
Il primo pugno partì dal senzatetto che si era avvicinato per primo e il tutto degenerò rapidamente in una rissa.
Tirai il cappuccio del cappotto più avanti mentre mi assicuravodi prendere le distanze dai due. Risse del genere spesso tendevano a coinvolgere ignari passanti e innocenti spettatori.
Accelerai il passo, per quanto la strada innevata me lo permettesse,cercando di non attirare l’attenzione e di passare il più lontana possibile dai bidoni infuocati e dagli uomini che gli stavano accanto nella speranza di scaldarsi, desiderosa di trovarmi il prima possibile lontana da quell’area.
Qualche minuto più tardi cominciai ad intravedere il cancello sgangherato della mia sgangherata dimora. Non che esistessero case ancora in buone condizioni.
Anni di guerra e crisi globali avevano lasciato il mondo in condizioni che fino ad allora avevo trovato descritte solo in romanzi distopici. Era come se i vari governi si fossero in qualche modo impegnati per rispettare quelle descrizioni il più possibile.
La porta di casa si aprì con un cigolio di cardini che tutte le volte mi faceva pensaresi sarebbe staccata dal muro e rimasta in mano.
«Sono tornata» dissi togliendomi le scarpe innevate e rabbrividendo per il freddo che gli spifferi lasciavano trapelare all’interno.
«Ehi» Alex comparve alla fine del corridoio le braccia strette intorno al corpo nella speranza di racimolare un po’ di calore. «Giornata favorevole?»
«Abbastanza» ammisi svuotando il contenuto delle mie tasche sul tavolo della cucina.
Tutti scarti metallici che avevo trovato in una discarica a qualche ora da lì e vecchi ingranaggi che con un po’ di fortuna sarei riuscita a riutilizzare.
Alex si avvicinò, esaminando il contenuto. «Direi che possono andare» fu il verdetto finale. «Se dobbiamo metterci al lavoro direi che adesso è il momento ideale. Gli altri non sono ancora tornati, meglio approfittarne»


Il tutto era partito come un progetto -no, progetto non è la parola giusta, come un’ipotesi dalla sezione di Ricerca e Sviluppo dell’Accademia.
Ebbene la tua geniale sorella ha dimostrato l’impossibile.
Sai tutte le volte che tornavo tardi la sera e ti dicevo che ero uscita con i miei amici o che ero stata in palestra? O quando sparivo per due o tre giorni di fila per badare al cane del professor Allen? Ecco, erano tutte bugie. Il professor Allen non ha un cane.
In realtà stavo costruendo una macchina del tempo con Alex. E anche diversi cervelloni universitari/governativi e geni mondiali.
 In un’epoca come la nostra con droni, intelligenze artificiali e macchine volanti questa era l’unica cosa che ci mancava.


Se la casa era fredda allora il seminterrato era il Polo Nord formato appartamento.
Per fortuna Alex aveva avuto il buon senno di portare giù una piccola stufetta elettrica. Non che servisse a molto ma era sicuramente meglio di niente.
Al centro della stanzal’origine di tutte le mie –nostre- disgrazie era coperto da un vecchio lenzuolo che Alex tirò giù senza troppi complimenti.
La Macchina era lì.
«Ci lavoriamo sopra da mesi e ancora non riesco a credere che sia reale» ammise Alex aprendo uno dei pannelli sul fianco.
«Sì, metabolizzare velocemente non è mai stato il tuo forte» scherzai mettendomi al lavoro sui miei circuiti.


L’avevano chiamata Villarey, in onore del fondatore dell’Accademia.
Ho passato mesi con Alex e il team di ricerca nella sua biblioteca per mettere a punto il modello e studiare possibili ipotesi che l’utilizzo avrebbe comportato.
E se stai ascoltando questa registrazione, significa che la peggiore di questa si è avverata.
Significa che il tempo che tanto volevamo riscrivere non può essere riscritto, non importa quante volte o in quanti modi ci proviamo.
Andrà sempre a peggiorare.


«Dovrei aver finito» dissi mettendo da parte la fiamma ossidrica ed esaminando il mio lavoro un’ultima volta prima di passarlo ad Alex.
Alex lo scrutò con occhio critico per un paio di secondi prima di andare a integrarlo nel pannello di controllo che aveva ricostruito negli ultimi giorni.
«Okay, vediamo di resuscitare questa meraviglia» disse chiudendo lo sportello e spostandosi dietro al computer per inserire un paio di codici di attivazione. Una volta premuto ‘invio’ le luci all’esterno cominciarono a lampeggiare e la Macchina si accese con un basso ronzio di sottofondo.
«Ce l’abbiamo fatta» mormorai senza fiato.
«Di nuovo, da quanto mi è sembrato di capire»
Lo guardai sorpresa e lui si limitò a sorridere.
«La struttura interna ha praticamente il mio nome scritto ovunque, Jess. Anche se non è esattamente lavoro mio» disse incrociando le braccia «Allora, dimmi, qual è il risultato finale di un viaggio nel tempo?»
Abbassai lo sguardo, insicura. Avevo un’idea di quello che era successo l’ultima volta che avevo viaggiato nel tempo, ma solo il viaggio di ritorno me lo avrebbe confermato.
O, almeno, speravo in un ritorno.
«Alex, io-io non-»
«Non puoi dirmelo, eh?» chiese sbuffando un po’ «Oh, beh, significa che dovrò continuare a vivere con questo dubbio esistenziale»


La verità, Ronnie, è che non so nemmeno se riceverai questa registrazione.
Non so quali saranno le conseguenze del mio viaggio, ma dovevo correre il rischio. Non potevo semplicemente ignorare tutto quello che stava accadendo senza muovere un dito.
Tutto quello che posso fare adesso è sperare che in qualche modo possa risolvere la situazione e tornare a casa. Anche se non posso prometterti nulla.
Ti voglio bene, fratellino.


«Sei pronta?» mi chiese Alex la mattina presto di una settimana dopo aver rimesso in funzione la Macchina.
«Diciamo di sì»
No, non lo ero. La prima volta non ci avevo pensato troppo, era stata una decisione dettata dall’istinto. Ma adesso domande, dubbi e paure mi affollavano la mente quasi impedendomi di respirare.
«Ehi» disse Alex afferrandomi per le spalle e costringendomi a incrociare il suo sguardo. «Andrà tutto bene, okay?»
«Ti voglio bene». Lo abbracciai di impulso, perché in un modo o in nell’altro quello davanti a me era pur sempre Alex, non importava in che tempo o realtà alternativa.
Mi staccai da lui e presi un respiro tremante fissando la Macchina, prima di salire al suo interno e pregare di poter avere un ritorno.
  







































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