Storie alla rinfusa di Matteo Luna
“Nonna, mi si è strappato il
maglione strusciando contro il ramo dell’olivo! Riesci a ricucirlo o posso
buttarlo?” gridò Benji.
“Ma cosa dici?” controbatté
Jenny dando uno scappellotto al nipotino, schiavo dell’ormai opprimente cultura
del consumismo. “Dammi qua!”
Esaminò attentamente
l’evidente squarcio che tagliava in due la faccina sorridente del coniglietto
pasquale.
“Uhm… Mmh… Beh, è impossibile
da rattoppare… ma… DI CERTO NON VA BUTTATO!!! TUTTO e dico TUTTO può e deve
essere riutilizzato… magari può diventare un utile straccetto oppure un bel
cappellino colorato per un visetto carino come il tuo!” esclamò la vedova
stringendo tra le mani il faccino paffutello del bimbo.
“Adesso lo prendiamo e lo
portiamo in soffitta… su, dai… veloce che poi ti preparo il pranzo”.
Jenny aprì la porta e ripose
il maglioncino in uno dei tanti scatoloni su cui era scritto a caratteri
cubitali: “Cianfrusaglie varie”.
Il pullover si ritrovò in un
mondo magico, popolato di storie incantate, di sogni, ideali e aspirazioni di
un’intera generazione.
All’interno del recipiente
erano collocate accuratamente diverse decine di oggetti oramai inutilizzati, ma
che avevano ancora tanto da raccontare. Vicende ordinarie e insolitamente
anomale narrate da piccole bambole di pezza prive di occhi o dai capelli radi,
o da cardigan lacerati o da giocattoli consumati dall’inesorabile scorrere del
tempo.
Commenti confusi e
disordinati di ciarpame sciupato dall’indifferenza umana.
“… Ah… e che dire di quella
volta in cui quella dannata peste mi macchiò col gelato…” disse lagnosamente
una camicia barbosa, rassegnata ad una vita di malinconia e tristezza.
“…D’un tratto iniziò a
canticchiare una canzone serafica, ma con un tono così lugubre da farmi
accapponare i fili dell’ordito…” rispose un calzino spaiato non ascoltando
minimamente ciò che affermava il compare.
“…Io mi sono beccato uno
sparo dritto in petto perché ‘sti fetenti dovevano fare la guerra fra di loro…”
sentenziò risolutamente un berretto militare.
“…Quella maledetta… ah…
quanto la odio... addirittura è arrivata a strapparmi un occhio a mani nude per
divertimento, a suo dire… Divertimento un corno! Quanto vorrei cavarglielo io
quell’occhio malvagio, così le toglierei quel sorrisetto compiaciuto! …” strepitava
una bambola infuriata.
“…Tutti i santi giorni che la
Staedtler ha fatto, quella bimba mi teneva fra i capelli forforosi perché
credeva le avrebbe dato un’aria da intellettuale… ma vi pare possibile? …”
esclamava una matita malconcia, mordicchiata alle estremità.
Ascoltando i racconti si fece
largo nel ciarpame e giunse davanti all’anziano capo dall’aria grave e solenne.
“Ehi, tu... Sei nuovo, vero?”
“Sì, ehm… salve, come va?”
chiese il maglioncino.
“Come credi che vada? Stiamo
qui nello scatolone della soffitta di una signora qualunque, condannati ad
oziare per sempre ricordando momenti della nostra antica, seppur splendida,
gioventù. Siamo costretti in questa gabbia di cartone aspirando a poter uscire
un giorno, a rivedere il candido manto delle nuvole e l’argenteo riflesso della
Luna sul mare increspato, a ritornare ad essere utili a qualcuno che ci tratti
con un minimo di dignità e non ci consideri solo inutili e sostituibili
carabattole, bensì che ci valorizzi al massimo…Quindi, direi piuttosto male, ma
comunque sopravviviamo continuando a nutrire delle speranze in un domani
migliore del presente” rispose filosoficamente una giacca consunta da troppi
secondi di inattività.
“Ah… mi dispiace…” disse
mesto e sbigottito il pullover.
“Eh, dai… su, non ci sarai
rimasto male, vero? A parte desideri di gloria un po’ sbiaditi dalle
intemperie, qui ci si diverte un mondo! Avrai certamente già notato che tutti
parlano del loro passato e, credimi, alcune vicende sono davvero esilaranti!”
“Sì, ho sentito qualcosa di
accattivante da sostanzialmente chiunque abbia incontrato… invece lei non ha
nulla da raccontare? Essendo il veterano credevo avesse una storia ancora più
interessante di quella di tutti gli altri”.
“Beh… in effetti è così, ma non
mi piace molto parlare dei miei tempi d’oro. Tuttavia, se me lo chiedi lo farò
senz’altro” rispose l’abito dai risvolti marroni.
“Io ero la giacca preferita
dal marito di Jenny, Leo, che mi trattava con dignità e non come un futile bene
materiale. Per questo suo comportamento gli sarò sempre grato: è stato proprio
lui ad infondermi fiducia nella vita e in un futuro migliore, valori che cerco
di trasmettere a tutti loro” disse riferendosi ai suoi compari.
“Leo lavorava presso il liceo
Carlo Rinaldini come insegnante di Lettere e Filosofia. Era severo e rigoroso,
non particolarmente amato dai suoi allievi, che comunque lo rispettavano e
tenevano a lui. Aveva infatti un certo charme e un carattere affabile.
Un giorno, consigliato di
certo da Satana, Leo andò nella biblioteca scolastica per cercare “La coscienza
di Zeno”, al fine di leggerne qualche passo ai suoi studenti.
Purtroppo, notò che accanto
ad esso vi era un altro dannato libro, chiamato:“La crittografia, come
difendersi dalla Russia”. Non ne dimenticherò mai il titolo. Se avesse scelto
un’altra opera, come “I Malavoglia” o addirittura “Il Piacere”, tutto questo
non sarebbe successo e lui sarebbe ancora qui.
Comunque sia, fu attratto da
quella manifestazione del demonio come una calamita.
Lo prese e la sera stessa
cominciò a leggerlo, divorandolo tutto in una sola notte.
Fu l’inizio di una tremenda tragedia.
Dopo quella lettura, Leo non
fu più lo stesso.
Iniziò ad essere sempre
nervoso e si convinse di essere costantemente sorvegliato da spie russe,
desiderose di informazioni.
Ogni giorno cambiava tragitto
e non appena vedeva una macchina che lo seguiva da più di un isolato, svoltava
in qualche vicoletto tetro e poco illuminato.
Era anche diventato
disattento nel lavoro come verso sua moglie.
Ma soprattutto nei miei
confronti: progressivamente si disinteressava a me e sempre più mi riteneva un
oggetto inutile, proprio come fanno tutti gli umani al giorno d’oggi.
Anche Jenny si era accorta
dellastranezza di Leo e cercava di parlare con lui e di tranquillizzarlo
sull’avvenire e sull’inesistenza di spie russe.
Ma il marito non voleva
sentire ragioni: era diventato così ossessionato da non riuscire neppure più a
mangiare.
Stava lentamente perendo.
Allora Jenny, temendo per la
sanità mentale del coniuge, con grandissima difficoltà si diresse all’ospedale
psichiatrico di Torrette per farsi aiutare da un esperto.
Tuttavia, quando Leo venne a
saperlo, si persuase del fatto che anche la moglie fosse una spia russa.
Dopo averle detto parole
brutali e prive di fondamento ed averle fatto piangere più lacrime di quante ne
avesse, se ne andò e non tornò più.
I giorni seguenti furono
pieni di ansia, angoscia e costernazione: Jenny riteneva di essere la
responsabile della fuga del marito, nonostante gli amici e i parenti cercassero
di farle capire che si sbagliava.
Anch’io mi disperavo, perché
Leo mi aveva lasciato a casa e temevo potesse compiere qualche stupidaggine.
Poi, dopo due giorni, arrivò
la tremenda notizia: Leo si era suicidato buttandosi dal campanile della chiesa
del Sacramento.
Non appena lo scoprimmo,
Jenny svenne ed io non riuscii a metabolizzare la questione per diversi giorni.
Purtroppo, poi dovetti fare i
conti con la realtà e caddi in un’insopportabile depressione, assieme a Jenny”
la giacca fece una lunga pausa e poi riprese.
“Alcuni mesi dopo, con cura sono
stato riposto qui per primo e negli anni ho visto aumentare il cumulo di
oggetti.
Il tempo ha spazzato via le
lacrime di Jenny ed ha fortunatamente annebbiato il ricordo di quella tragica
vicenda dalle nostre memorie” concluse il vestito.
Commenti
Posta un commento