PARITA DI GENERE: ESISTE? QUELLO CHE DICONO I DATI
Uguaglianza di genere: è il pari trattamento che uomini e donne dovrebbero ricevere, senza essere discriminati in base al sesso
Questo è l’obiettivo della Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, che cerca di creare uguaglianza nelle situazioni giuridiche e sociali, come ad esempio in attività democratiche, e di garantire parità di retribuzione e parità di lavoro.
Ma abbiamo davvero raggiunto la parità di genere?
Nei paesi più sviluppati, dove sono stati fatti numerosi passi avanti, si sostiene di averla raggiunta. Ma è davvero così?
Bastano alcuni esempi per comprenderlo. Questa tanto ambita parità non può essere raggiunta facilmente, se diffusamente la donna è ancora vista come oggetto per procreare e come casalinga, e la maggior parte di esse ha paura di venire sfigurata con l’acido o talvolta di essere uccisa dal marito in caso volesse chiedere il divorzio o più semplicemente esprimere una sua opinione.
Non possiamo dire di aver raggiunto la parità se le donne che occupano posti di comando sono pochissime, e se il lavoro maschile continuerà ad essere più elevato di quello femminile, nonostante ci siano più donne diplomate che uomini.
Sono proprio le statistiche che si occupano di quest’ultimo punto. Tanto per cominciare l'Italia occupa il penultimo posto in Europa, con un’occupazione femminile del 48,8%, ancora assai lontana da quella maschile, del 66,8%.
Bisogna parlare non solo del tasso di occupazione, ma anche della differenza salariale tra uomini e donne, chiamata “gender pay gap”.
Per “gender pay gap” si intende la differenza di retribuzione media oraria tra uomini e donne. In poche parole, è la differenza di reddito tra uomini e donne.
I dati, seppur dati “grezzi”, mostrano che questa differenza non è stata eliminata in nessun paese.
Dicono anche che donne e uomini guadagnano in media cifre diverse, partecipano al mondo del lavoro in modo diverso e vengono trattati in maniera diversa.
Il paese dove il gender pay gap è tra i più alti è la Germania, i dati statistici del 2017 dicono che sia del 21%. In Germania perciò una donna guadagna mediamente 16,59 euro l’ora, mentre un uomo ne guadagna 21. Perché in Germania, un paese assai sviluppato, c’è così tanta differenza?
Gli uomini hanno lavori meglio pagati delle donne, e inoltre quest’ultime sono più propense, od obbligate, a lavorare part time.
Straordinariamente in Italia il gender pay gap è solo del 5%. Gli stipendi, insomma, sono bassi per tutti, ma è chiaro che l’uguaglianza riguardo al lavoro e ai salari è ancora un miraggio.
Questa discriminazione non è giustificabile altrimenti che con un pregiudizio di genere, in una società dove incombe ancora l'ombra del patriarcato, dove la donna è svantaggiata nell’organizzazione del lavoro, nell’individualizzazione degli obiettivi, nella misurazione degli sforzi e nella struttura degli incentivi.
C’è bisogno dunque di abbattere tutti quegli stereotipi che conferiscono alle donne un ruolo secondario. E bisognerebbe partire dalle nuove generazioni, che pensano che l’uomo debba fare il chirurgo e la donna l’infermiera, che l’autista, l’elettricista, l’idraulico, siano mestieri esclusivamente maschili, che una donna non possa arruolarsi nell’esercito...
Da affrontare è anche la questione relativa ai congedi parentali, che dovrebbero essere equamente condivisi tra i genitori e che non dovrebbero essere trasferibili.
In Svezia, ad esempio, i padri hanno diritto a tre mesi di congedo retribuito per ogni figlio e il congedo non può essere trasferito alla madre. La Svezia è un esempio per tutta l’Europa anche per l’ottima qualità dei servizi all’infanzia.
E’ passato molto tempo dalla frase detta riguardo a Tina Anselmi, prima ministra donna, cioè che “…il ministro Tina Anselmi, che benché sia donna, ricopre così degnamente il suo incarico.”, ma la parità femminile e l’equa condivisione dei ruoli continuano tuttavia ad essere un obiettivo da raggiungere.
Quindi, possiamo ora rispondere che, no, non esiste ancora la parità di genere, ma possiamo impegnarci per raggiungerla.
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