SOLO UNA COSTOLA DELL’UOMO?
Donne sfruttate, violentate e sottopagate
non siamo agli esordi del Medioevo
siamo nel XXI secolo.
Di generazione in generazione, di padre in figlio, di epoca in epoca; la storia cambia, la civiltà si evolve, la lingua si sviluppa, ma la società rimane invariata: MASCHILISTA.
Dalla matrona romana priva di ogni diritto; alle fanciulle risorgimentali, pedine che venivano combinate e date in sposa agli uomini senza il loro volere, solo per brama di potere paterno. Dalla donna del ‘900 che combatteva per il voto, alle ragazze di oggi, svendute al pubblico senza alcuna pietà, uccise e violentate come anelli a Pasqua, donne che lottano per ottenere una retribuzione più equa. È questo che la figura femminile ha subito e che, secondo l’Onu, continuerà a subire per almeno altri 70 anni, prima che venga posto fine al divario di sessi. In questo campo l’Italia è uno dei paesi con la più alta disparità di genere e si posiziona all’82esimo posto sulle 144 nazioni partecipanti, secondo il Global Gender Gap, del World Economic Forum, report che monitora il divario di genere.
Non bastano le leggi per garantire le donne. Certamente quelle conquistate negli scorsi decenni sono servite per ottenere, almeno in Occidente, pari diritti,e anche sul piano dell’emancipazione sociale, nell’ultimo mezzo secolo sono stati fatti numerosi passi avanti. Come ad esempio la legge dedicata alle madri lavoratrici risalente al 1950, che vietava il licenziamento di quest’ultima nei primi mesi dalla nascita di un figlio. Inizialmente, infatti, era frequente la pratica delle dimissioni in bianco; un foglio vuoto in cui, al momento dell’assunzione, veniva firmato dalla richiedente e poi riutilizzato da parte del datore di lavoro in caso di licenziamento. Questo esercizio è tutt’oggi attivo, ma perlomeno è illegale. Ma, se consideriamo la sfera privata delle donne, quella più intima e quotidiana, vediamo che il dominio maschile persiste, che sessualità e famiglia restano terreni ancora di conquista e che, dunque, la liberazione femminile è ancora lontana. La marcata emancipazione della donna non si riscontra soltanto negli atti di violenza compiuti su di essa, come ad esempio i femminicidi, sempre più frequenti in Italia, ma anche e soprattutto nella vita quotidiana tramite l’inconsapevole e stereotipato uso di espressioni vocali e visive, che, pur velatamente, sopprimono la figura della donna. All’interno della famiglia, infatti, ricorrono frequentemente frasi quali “aiuto mia moglie nelle faccende casalinghe” o “non trovo la maglietta dove me l’hai messa?”, che evidenziano
che la responsabilità del lavoro casalingo e familiare, oltre a quello statale, è unicamente legato alla donna. Anche durante i programmi televisivi la femmina è spesso messa in ridicolo poiché vengono riprese parti caratterizzanti la sua bellezza: come le gambe, il lato B e il seno.
Lo stesso vocabolo “donna”, ha un’accezione negativa, in cui viene sottolineata la debolezza di quest’ultima; tra i sinonimi troviamo: sesso debole, domestica, bel sesso e cameriera; contrariamente a quelli riferiti all’uomo, che esprimono invece, virilità e potenza come ad esempio: sesso forte,vigoroso, energico e robusto. In queste espressioni è dunque possibile notare quanto la donna sia solo una costola dell’uomo, un essere debole e influenzabile, di secondaria importanza, e non una spalla su cui appoggiarsi nelle difficoltà, da trattare come una pari, quale essa è, come viene indicato nella Genesi.
A fronte di tutto ciò è bene dunque riflettere sull'importanza che la donna ha e trattarla come conviene; poiché madre di questo mondo e figura trainante di tutta la società.
Maria Teresa Martini
Maria Teresa Martini
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