APERTIS VERBIS - più o meno di E.Valentini
Era l’ultima volta che si riduceva all’ultimo minuto. Proprio come la volta precedente sarebbe dovuta essere l’ultima. E quella prima. E quella ancora prima. Edith non era mai stata brava a mantenere i propri propositi.
Per quello si era ritrovata in piedi ad un orario indecente della mattina, così presto che in pratica si poteva considerare tarda notte, infreddolita e di malumore e piegata su due vocabolari diversi perché la professoressa aveva deciso che tradurre una versione di quindici righe dal greco al latino era un’ottima idea. A quanto pareva la professoressa li odiava.
Ovviamente su internet non esisteva una traduzione neanche per sbaglio, e ovviamente Edith non possedeva un vocabolario dal greco al latino, quindi era stata costretta a tradurre prima dal greco all’italiano e poi dall’italiano al latino. Non era stato divertente.
Verso le cinque e mezzo rimise il tappo alla penna e si raddrizzò con un sospiro. Prese in mano il quaderno con la traduzione finale: un ammasso di scrittura disordinata, pieno zeppo di parole sbarrate e appunti in piccolo tra una riga e l’altra.
Incominciò a leggerlo ad alta voce con la scusa che magari così si sarebbe accorta degli errorini più stupidi, una “m” al posto di una “s” o i tempi verbali sbagliati (in verità moriva di sonno e aveva voglia di sentirsi snob e aristocratica leggendo con tanto di enfasi un testo in una lingua morta che non capiva).
Dovette interrompersi allo sbuffo di fumo.
Un ragazzo era comparso sul suo letto, nudo dalla vita in su, disteso in maniera molto provocante con un ginocchio piegato e il mento posato sul pugno, in una di quelle pose da “dipingimi come una delle tue dame francesi”. Aveva gli occhi rossi, pupilla verticale, un paio di piccole corna curvate all’indietro che gli spuntavano tra i capelli biondicci e una coda nera con l’estremità a punta di freccia mezza abbandonata sopra il fianco nudo.
L’aria odorava vagamente di zolfo.
Edith fissò il ragazzo e il ragazzo la guardò di rimando, un sorrisetto che gli arricciava le labbra sottili. «Li hai diciotto anni, sì?» chiese con voce di velluto. «Non faccio patti con i minorenni»
Edith continuò a fissarlo. Rimise il quaderno sulla scrivania, lo chiuse. Alla fine le lingue morte l’avevano mandata fuori di testa. Sapeva che presto o tardi sarebbe successo. Sperava di riuscire a concludere l’ultimo anno senza esaurimenti nervosi ma a quanto pareva non sarebbe stato così.
«Devi lavorare sulla tua pronuncia» commentò il ragazzo - ragazzo? Con quegli occhi e le corna e la coda la definizione di “ragazzo” suonava un po’ forzata. “Demone” suonava meglio. Ma comunque perché doveva starsene mezzo nudo? Era freddo. «Sul serio dolcezza, sembravano i lamenti di una dozzina di poveri gattini innocenti che vanno a fuoco. Sei fortunata che ti abbia capita, hai rischiato che non si presentasse nessuno»
Erano le cinque e tre quarti. Aveva ancora un’ora prima di doversi alzare ufficialmente dal letto. La tentazione di rimettersi sotto le coperte e recuperare quella misera ora di sonno era forte. L’unico problema era il tizio - possibilmente non umano - che stava occupando il suo letto.
Edith incominciò a chiudere ed impilare i vocabolari uno sopra l’altro. «Chi dovresti essere?»
L’espressione del tizio era pura offesa. «Mi hai chiamato tu!» protestò. «A proposito, non hai specificato i termini precisi dell’accordo. O forse l’hai fatto ma la tua terrificante pronuncia non mi ha permesso di coglierli. Sarà una cosa singola o...? È politica aziendale non toccare l’umano prima che l’accordo sia ben chiaro ad entrambe le parti, il capo pensa che sarebbe pessima pubblicità se incominciassimo a fare di testa nostra, e io sono d’accordo»
«Senti coso, non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo» Edith sbuffò. «Di che parli?»
Il tizio si mise lentamente a sedere sul letto. «Incubus» disse indicando se stesso con entrambe le mani, nel tono che si usa per spiegare ai bambini piccoli. «Umana che mi hai evocato» Indicò Edith. «Hai presente? L’evocazione che hai letto cinque minuti fa? Dove mi promettevi un po’ della tua energia vitale in cambio del sesso migliore di tutta la tua giovane vita?»
Edith sospirò. Una parte di lei si chiedeva se per caso non avrebbe dovuto essere giusto un tantino più spaventata dalla situazione, dato che c’era un demone nella sua camera. Ma era una studentessa del liceo classico, all’ultimo anno. Più nulla ormai poteva sorprenderla. «Io non ti ho evocato» affermò incrociando le braccia al petto.
«Ah-ah, certo che no. Ho solo sbagliato indirizzo, colpa mia» L’incubus roteò gli occhi. «Che c’è ragazzina, hai cambiato idea? Sono sicuro di poterti convincere» Ammiccò e si stiracchiò come un gatto, mettendo bene in mostra il suo corpo.
«Non ti ho evocato» ripeté Edith, sforzandosi di suonare autoritaria e allo stesso tempo di non alzare troppo la voce perché i suoi genitori dormivano all’altro capo del corridoio. «Non ci sarà nessun sesso sfrenato e nessun passaggio di energia vitale o di altro. La tua offerta non m’interessa»
«Andiamo... nemmeno un assaggio? Un pochino? Facciamo così: potrai provare il prodotto per un minuto o due prima di decidere se comprare o meno, che ne pensi? Dovrebbe essere abbastanza per convincerti che ne vale la pena, in fondo cosa ci fai con quella tua forza vitale? A malapena la stai usando, su»
Edith gettò uno sguardo all’orologio: sei meno dieci. Stava perdendo tempo prezioso che avrebbe potuto usare per sonnecchiare. «La risposta è sempre no» Il tono era definitivo. «Torna da dove sei venuto, per favore?»
«Ma ho fame!» protestò lui rimettendosi a sedere.
In risposta Edith sollevò l’indice nel gesto universale di “aspetta un attimo”. Recuperò il portafoglio e tirò fuori due banconote da dieci euro. «Ecco qui» Le porse al demone. «Vai al McDonald e prenditi un panino o due, non m’interessa, basta che mi liberi il letto»
L’incubus la guardò scandalizzato: «Non quel tipo di fame!» Le rivolse uno sguardo che era un concentrato di frustrazione. «Senti, com’è che ti chiami?»
«Prima tu» rispose subito Edith, e lui sorrise.
«Non sei stupida, eh? D’accordo. Mi chiamo Lance»
«Edith. Piacere, più o meno. Sarei più contenta se ti spostassi dal mio letto»
Lance sospirò - una prima mattinata piena di sospiri, quella. «Senti Edith, le cose stanno così: tu hai offerto e io ho accettato, ed ora siamo qui a cercare di concludere un accordo. Davvero, non c’è bisogno di vergognarsi. Le ho già sentite tutte. Cosa vuoi?»
«Non voglio niente, in quante lingue te lo devo dire? Perché ne conosco tipo, solo due. Ecco, guarda qui» Recuperò il quaderno e glielo schiaffò davanti, aperto sulle pagine incriminate.
Regnò il silenzio mentre l’incubus scrutava la versione e rispettiva traduzione. «Questo è il testo originale?» chiese dopo un minuto, indicando la fotocopia infilata tra le pagine del quaderno. Edith annuì. «E questa la tua traduzione? Dal greco al latino?» Avuta di nuovo conferma, esaminò per un altro intero minuto la versione. Prese la fotocopia originale e la sollevò. «Questo» disse lentamente. «Parla di patate. È una guida alla coltivazione di patate. Non è neanche autentico! Si vede che qualcuno se l’è inventato dato che i greci neanche le avevano le patate. Questa invece» Posò il dito sulla traduzione in latino. «Questa è la formula di un rituale per l’evocazione demoniaca» Rivolse a Edith uno sguardo che diceva chiaramente “sul serio?”.
Lei si strinse nelle spalle. «Non sono molto brava col greco. O col latino»
«Un rituale di evocazione!» ripeté Lance balzando in piedi. «Altro che “non molto brava”, sei pessima! Un caso perso! Sei un pericolo per te stessa e per chi ti sta attorno!»
«Ehi, adesso non esageriamo» borbottò Edith un po’ risentita. Non era lei che non ci sapeva fare, era colpa della professoressa che assegnava loro versioni impossibili.
«Hai avuto una fortuna sfacciata che ho risposto io e non uno dei demoni più pignoli! Come credi che siano iniziate le epidemie di peste nel quattrocento e del seicento? L’ho sempre detto io, non date certi testi in mano ai dilettanti. Perché non potevate limitarvi a tradurre Tucidide? Cicerone magari? Qualcosa di semplice e non fraintendibile?»
Edith emise un lamento alla parola “Cicerone”. «Ma abbiamo già tradotto tutto di Cic!» protestò. «Basta, non se ne può più!»
Ma l’incubus era inamovibile, spietato: «Cicerone almeno non causa epidemie globali. Sai, io ci mangio con voi umani, sarebbe un guaio per me se moriste tutti. Di chi è stata poi l’idea di inventarsi questa cosa e poi fartela tradurre dal greco al latino?»
Ottima domanda. Visti gli sviluppi degli eventi, era stato sicuramente un’idea della prof. «La prof demoniaca che ci fa sia greco che latino» L’aggettivo sarebbe potuto suonare fuori posto dato che si trovava davanti a un vero demone, ma a parere di Edith era più che appropriato.
«Sembra quasi fatto apposta» commentò Lance. Strappò la pagina con la traduzione, la tenne nel palmo aperto e la carta prese fuoco.
Edith gli afferrò il polso: «Ehi!» Aveva lavorato per ore a quella traduzione. Non aveva la minima intenzione di rimettersi a farla da zero solo perché ad uno stupido demone era sembrata una buona idea ridurla in cenere. Si chiese se come scusa avrebbe retto: prof, mi dispiace tanto, l’incubus che ho accidentalmente evocato facendo i compiti me li ha distrutti. Ops.
«Te la rifaccio io, non sclerare» Lance agitò la mano come se volesse scacciare una mosca. Afferrò una matita e si sedette sul letto a gambe incrociate, quaderno bilanciato sulle ginocchia. «In cambio voglio un bacio. È il minimo che mi devi, dato che sono salito fin qua su per niente»
Edith ci pensò su un attimo. «Va bene, ma fammi posto che muoio di sonno» Aspettò che lui si scostasse un poco e si infilò sotto le coperte. Riuscì a sonnecchiare per trenta interi minuti prima che Lance la prendesse per una spalla e iniziasse a scuoterla:
«Ehi zuccherino, ho finito. Prestami attenzione»
«Che vuoi?» Edith si mise a sedere, nascondendo un enorme sbadiglio dietro la mano.
«Non essere troppo affascinante o rischierai di sedurmi» commentò Lance, molto poco impressionato. «Ecco la tua traduzione. In italiano, e questa è in latino» Le porse il quaderno, un’intera pagina riempita con una calligrafia d’altri tempi.
Edith strizzò gli occhi e squadrò le parole. «A malapena riesco a leggerla» protestò. «Quando sei nato, nell’ottocento?»
«Giù di lì. Non c’è di che. Il mio pagamento, prego» Ammiccando, l’incubus si sporse in avanti e ricevette un bacio sulla guancia. Le scoccò un’occhiataccia. «Ehi, non funziona così»
«Non hai specificato dove volessi il bacio» disse Edith in tono innocente, stringendosi nelle spalle. «Grazie della traduzione e arrivederci, è stato un piacere fare affari con te» Gli fece ciao ciao con la manina.
Lance continuò a guardarla male per qualche altro secondo, ma alla fine sbuffò una risata e scese dal letto. «Sei una di quelle persone» commentò, e sembrava aver appena ricevuto un’illuminazione dall’alto - dal basso? Come funzionava coi demoni? «E io che continuavo a proporre, ovvio che stavo perdendo tempo. Siete il peggio» Si riappropriò della matita - arrotolandoci attorno la coda e portandosela in mano - e scarabocchiò qualcosa sull’angolo della pagina.
Edith si sporse per vedere meglio. «Cos’è?»
«Il mio numero di cellulare»
«I demoni hanno un cellulare?»
«Sì dolcezza, devo pur tenermi in contatto con i miei clienti in qualche modo. Gli unici che utilizzano ancora quegli antichi rituali sono gli esaltati, i disperati e le studentelle del classico incapaci di tradurre brani sulle patate» Roteò gli occhi. «Chiamami se ti serve aiuto a tradurre, magari riusciamo ad evitare un apocalisse o due, e sul metodo di pagamento possiamo accordarci. Il venerdì e il sabato sera lavoro quasi sempre, e lo stesso vale per il quattordici febbraio e l’otto marzo. Non chiamarmi ad Halloween che il mio amico al piano di sotto organizza una festa tutti gli anni, letteralmente una festa infernale»
Edith lo fissò: «Non fa ridere»
«Forse, ma comunque non sono libero quei giorni» Lance ricambiò con l’ennesima occhiataccia. «Ah, e post scriptum: ti consiglierei di cambiare professoressa. L’aggettivo che hai usato prima è più appropriato di quanto pensi. Ciao ciao dolcezza» Sparì in uno sbuffo di fumo.
Edith tossì per via dell’odore di zolfo, sventolando con la mano per pulire l’aria. In quel preciso istante la sua sveglia suonò. Erano le sette di mattina e doveva alzarsi dal letto. Aveva dormito circa tre ore quella notte. Bene.
Tirò indietro le coperte e balzò in piedi, raccolse in fretta fogli e quaderno ed esitò un istante messa di fronte a quel numero scritto a matita. Alla fine infilò tutto nello zaino senza pensarci troppo su, senza cancellarlo ma neanche senza salvarlo in rubrica. Non le servivano ripetizioni di latino da un demone.
Ovvio che non lo avrebbe chiamato (non era mai stata brava a mantenere i propri propositi). Magari a Lance andava una partita ad Ashes, una volta o l’altra? Edith non riusciva mai a trovare un secondo giocatore...
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