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IL VIAGGIO DI CHIARA di L.Cortese

C’era una volta una fanciulla di 17, Chiara, che viveva in una piccola città nel centro del’Italia. Chiara non era bella, ma c’erano delle caratteristiche in lei che colpivano chiunque riuscisse a leggere
l’anima delle persone. I suoi occhi color nocciola lasciavano intravedere ferite che mai nessuno era riuscito a curare. I pochi che le avevano decifrato quelle more di pupille e quel sangue delle sue lacrime, si erano limitate a guardarla con pietismo.
I problemi psicologici avevano avuto origine il primo giorno della quarta elementare quando Mik, il suo compagno di banco, a scuola, le mostrò la foto di un uomo con una pelle viscida che gli avvolgeva il mento. “Quella pelle può crescere anche a te se hai paura” gli diceva Mik ghignando.
“Io non ho paura di nulla” rispondeva Chiara pallida come un cencio e con gli occhi gonfi di lacrime. 
compagni, che nel frattempo si erano accorti della debolezza di Chiara per le foto inquietanti, gioivano nel terrorizzarla. Un giorno la bambina, durante una lezione di storia, esausta del trattamento ricevuto e dalla paura che le cresceva dentro, urlò. La maestra, sicuramente non empatica, la rimproverò per la causa futile che la aveva condotta ad urlare. Da quel giorno Chiara, credendo di essere una stupida, iniziò a temere che tutto il male che la circondava la avrebbe aggredita il giorno seguente. Si originarono le paure. 
Quali erano le sue paure? Beh aumentavano in base alla conoscenza che traeva dal mondo. Quando scoprì l’esistenza delle gemelle siamesi temeva che il giorno seguente si svegliasse con una testa in più che le spuntava dal lato sinistro. Aveva in testa le gemelle siamesi Hansel ed era convinta che potesse diventare la terza testa di quel fragile corpo. Quando scoprì l’esistenza dei trans sessuali era convinta che da grande sarebbe potuta diventare come loro.
Quando le spiegarono l’esistenza della droga pensava che al bar anzi che lo zucchero le potessero mettere una pasticca di estasi nel bicchiere. Un pomeriggio guardò il cartone animato “Anastasia”, non l’avesse mai fatto! Era sicura che Rasputin, l’uomo posseduto dal diavolo nel cartone, potesse rapirla all’uscita da scuola.
La cosa più brutta era che queste immagini e paure la facevano estraniare dalla realtà. Quando si impadronivano della sua mente, la volontà di Chiara non contava più nulla. Erano le paure che dettavano legge in lei. Restava così imbambolata a guardare un punto fisso anche per ore. I genitori, quando aveva queste crisi, temevano che potesse rimanere in quello stato anche per sempre. Nessuno le chiedeva cosa pensava, cosa viveva o vedeva in quei minuti infiniti. 
Così all’età di dieci anni Chiara andò in cura da uno psichiatra. L’uomo le prescrisse un farmaco, il Sereupin. Tutte le mattine, prima di colazione doveva prendere la medicina. 
“Chiaretta, amore mio, se non lo prendi ti vengono i pensieri psicotici, lo sai.”Le diceva la madre con il cuore in gola. 
Tutta la sua infanzia trascorse così tra pasticche, psicologi, psichiatri e Bes.  Gli anni passarono. La sua condizione migliorò. A 13 anni smise di prendere il farmaco. A 14 ebbe la sua prima grande soddisfazione: uscì con un bel 9 dall’esame di terza media. Che gioia! Finalmente una soddisfazione dopo aver dato solo preoccupazioni ai suoi genitori.
La seconda fase del suo viaggio e dei suoi problemi iniziò a 14 anni quando scelse il liceo. Inizialmente andò all’artistico. Qua conobbe l’arte, la svogliatezza e gli effetti della droga. Ebbene sì Chiara, la super seguita, quella che tutti i nuovi compagni conoscevano come la secchina, quella che faceva il suo dovere era finita nel circolo della droga. Non spacciava, ma si rifugiava nella cocaina che le dava quel minuto di euforia. Quei secondi li chiamava “momenti di rapimento”. Diceva che quando si drogava pensava a mille cose contemporaneamente e, passato, presente e futuro coincidevano. Quegli istanti erano i famosi “momenti di rapimento” in cui ti senti felice di essere al mondo. Però, quando passavano si sentiva peggio di prima.
Un giorno decise di fare basta e di porre fine a quella dipendenza. Voleva fare come il fratello di Tamar nel libro “Qualcuno con cui correre” di Grossman.
La cosa che mi colpì di più dall’incontro con quella ragazza fu la volontà e la determinazione: quando si metteva qualcosa in testa lottava fino ad ottenerla. Chiara uscì dalla sua condizione di miseria ed iniziò a scalare la montagna per raggiungere la vetta luminosa.
Chiara svoltò una pagina del libro della sua vita e decise di vivere. Cambiò scuola, dall’artistico passò al liceo delle scienze umane. Iniziò a studiare, si guadagnò la fiducia dei professori e la stima dei compagni che, approfittandosi della fragilità la mettevano sempre in cattiva luce ed erano felici di ogni suo fallimento o pianto. A parte questo conobbe una compagnia accogliente. Quest’ultima comprendeva un professore: Michel. Insegnava lettere. I discorsi con lui le facevano conoscere la bellezza della vita. La aiutava ad avere fiducia nelle persone e nelle circostanze del mondo. Le faceva capire che non era un numero, non valeva ciò che produceva, ma era preziosa indipendentemente da tutto e tutti. “E’ il mio Virgilio”- pensava. 
Con lui si confidava e gli diceva che durante il suo viaggio voleva cambiare il mondo. Questa terra però non era il luogo adatto a lei. Era convinta. Era consapevole anche che l’incontro con quest’uomo
non l’avrebbe resa felice.
Era di nuovo depressa. Si voleva uccidere. Questa volta definitivamente con un coltello. L’avrebbe fatto il giorno dopo aver preso definitivamente la decisione. Successe qualcosa di misterioso.
Una sera era andata a dormire. Il dì seguente c’era un’alba meravigliosa: il cielo era rosato ed un po’ giallo e arancione. Chiara dormiva serenamente nel suo lettino quand’ecco accadde qualcosa di strano: il cielo divenne improvvisamente grigio ed un vento terribile si impossessò della casetta. Quella notte Chiara era a casa da sola. Il vento portò via l’abitazione strattonandola come un padre quando vuole risvegliare l’attenzione del figlio incantato.
Il cane di Chiara iniziò a correre per tutta la stanza. Chiara dormiva ancora sonni profondi. Quando si
svegliò si accorse che qualcosa di strano era accaduto. Aprì la finestra ed una campagna con colline di grano le comparvero davanti agli occhi.
Uscì e con il suo cane iniziò a camminare. Era scomparsa da quel mondo tanto odiato. Non si era dovuta far fuori per cambiare la sua condizione. Ogni metro era un paesaggio regalato, una meraviglia.
“Finalmente il mondo che volevo. La realtà che pensavo non esistesse.” Mi pare di essere immersa nel mondo di quel fantasi. Come si chiamava Wendy? Ti ricordi” Disse rivolgendosi al cane.
“Ah il mago di Oz. Sono in un romanzo fantasy, solo che questa volta la protagonista non è Doroty, ma sono io.”
Chiara camminò a lungo. Era sola con Wendy, ma sentiva un pienezza nel cuore che cresceva in ogni passo. Camminò moltò finchè stravolta non si fermò. Al suo risveglio si sentì stanca. Si guardò le mani e ci trovò delle rughe. Si voltò a destra e non c’era più Wendy, la cagnetta. Iniziò a chiamare l’animale, ma notò che la sua voce non era la solita. Era roca proprio come quella di una vecchia.
Era invecchiata in pochi minuti. Ad un tratto vide un fiume. Si rispecchiò nel ruscello.
Il suo “sogno”, quel desiderio di fuggire da un brutto mondo per andare in un’altra dimenzione si era avverato. Si rese conto che era diventato un incubo.
Pregò ed imprecò qualcuno. In fine vide un uomo, un mago. Questi le spiegò che poteva esaudire due desideri. Chiara capì che anche se non era ciò che aveva sempre desiderato doveva tornare in quel mondo, in quella terra che le aveva dato un origine.
Così il mago le diede una mongolfiera. Salì su di essa e partì. La destinazione era un punto di domanda: il suo futuro.

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