SOAVE DELIZIA di L. Lombardi

Le dita dei piedi premevano insistentemente sul gesso delle scarpette. Su e giù. Su e giù.
Continuamente.
Le stoffa sfregava violentemente sul collo del piede, bianco e magro.
I capelli, raccolti sulla nuca, tiravano forte sul cuoio capelluto, ma non sembrava
accorgersene.
Le sue braccia continuavano a tagliare l'aria e lo facevano con estrema dolcezza.
La musica riempiva le sue orecchie e lei si beava di quelle sensazioni così contrastanti.
Il dolore pungente ai piedi, che avrebbero certamente sporcato di sangue le scarpette, e la
soave delizia di salire su, sempre più su, con le mani tese verso l'alto e le gambe che si
libravano nell'aria.
Spalancò gli occhi turchesi e sorrise al pianista.
“Riproviamo?” chiese lei, con il suo solito instancabile e irrefrenabile desiderio.
E la musica ripartì, prima piano e poi sempre più in crescendo fino ad avvolgerla
completamente nelle sue repentine giravolte e nei suoi salti stratosferici.
Il suono della campanella interruppe la musica improvvisamente, segnando la fine del suo
tempo per quel pomeriggio.
Amie raccolse la borsa dal pavimento, infilò gli scaldamuscoli e con qualche scricchiolio sul
parquet uscì dalla sala, non prima di aver salutato il pianista.
Fuori dalla Royal Ballet School di Londra il tempo non era dei migliori. La pioggia
scendeva scrosciante e le strade erano intasate dal traffico. Amie corse lungo il marciapiede,
immergendo talvolta i piedi nelle pozzanghere; arrivata all'angolo riuscì a fermare un taxi
sventolando una mano davanti alla macchina gialla.
Aprì il portellone e si gettò sul sedile posteriore, tirò un grande sospiro e scostò i capelli
bagnati dagli occhi.
“Mi porti al numero 29 di Bond Street.” disse Amie guardando l'autista attraverso lo
specchietto retrovisore.
Aprì la borsa e frugandoci dentro tirò fuori il pacchettino rosso che aveva incartato con
estrema cura la sera prima. Lo tenne in mano per qualche secondo e lo osservò, pregustando
già la sensazione di vedere sua sorella scartarlo. Sarebbe stato il suo compleanno più bello.
Amie si accomodò meglio sul sedile e appoggiò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. Fu
solo per una frazione di secondo.
Ma non si accorse.
Non si accorse della luce abbagliante.
Non si accorse del rumore assordante del clacson.
Fu solo tutto buio.
Poi quattro pareti bianche e un'incredibile puzza di disinfettante.
Amie aprì lentamente gli occhi, strizzandoli un po' per la forte luce che proveniva dalla
finestra.
Provò a voltarsi ma il suo collo era bloccato, così lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio
verso la porta vetrata e intravide due figure parlare tra loro. Non riusciva a realizzare che
cosa fosse successo, i suoi ultimi ricordi erano la scuola di danza, un taxi giallo e un
pacchettino rosso. Nulla di più.
E ora se ne stava immobile, sul letto d'ospedale, con un gran mal di testa e un tubicino di plastica per farla respirare.
La porta vetrata venne aperta silenziosamente e due figure entrarono nella sua stanza: sua
madre e un dottore, con uno sguardo di compassione fin troppo irritante, se ne stavano ai
piedi del letto, osservandola insistentemente
“Posso sapere che cosa è successo?” chiese lei, con un briciolo di timore nel tono di voce.
A quella domanda gli occhi di sua madre si riempirono di lacrime e scuotendo la testa uscì
di corsa dalla stanza dopo essere scoppiata in singhiozzi.
Amie s'irrigidì ancora di più, aspettando una risposta.
“Amie...hai subito un grave incidente in auto. Il collo e il midollo spinale presentano
un'importante lesione. Purtroppo molte attività...la maggior parte delle attività motorie sarà
compromessa.”
La ragazza scoppiò a ridere, forte, fortissimo, ma sembrava tutto inutile, non riusciva a
sentire nulla. Allora rise ancora di più, ma l'unica cosa che percepiva era il suono della sua
risata rimbalzare tra quelle quattro pareti bianche.
Era come se il suo corpo non le appartenesse più.
“Si calmi, Amie.” sussurrò il dottore lasciando le sue parole sospese nell'aria.
 ***
Amie guardò le sue unghie dipinte di rosso. Sua sorella aveva fatto proprio un buon lavoro.
Quando frequentava la Royal Ballet School non poteva mettersi lo smalto, era proibito,
rendeva le ballerine troppo volgari.
La ragazza premette il pulsante sul bracciolo della sedia a rotelle e si spostò nella sua stanza.
Non aveva cambiato nulla.
Aveva ancora la sbarra per i suoi esercizi fissata alla parete e tutte le scarpette di raso chiuse
nell'armadio, c'era solo uno strano marchingegno accanto al suo letto che le permetteva di
salire e scendere.
Amie piangeva spesso. Quasi tutti i giorni.
Si ritagliava qualche minuto per chiudersi in camera a piangere tutto quello che un tempo
era stato suo e che ora non aveva più
Le mancava la scuola di danza, il pianista, la musica, il dolore dovuto al gesso delle
scarpette e i piedi sanguinanti.
Ci pensava tutti i giorni, mentre guardava gli anni migliori della sua vita passarle sotto gli
occhi.
“Amie, c'è una lettera per te.”
Sua madre entrò nella camera con una busta bianca tra le mani.
Sul retro erano stampati il suo nome e il logo della Royal Ballet School.
La donna aprì la lettera sotto gli occhi ansiosi di Amie. Non era più iscritta in quella scuola
da un sacco di tempo ormai.
“Carissima Amie,
essendo tuttavia a piena conoscenza delle sue condizioni fisiche ma riconoscendo la sua
passione e il suo duro lavoro in passato, le chiediamo gentilmente di entrare a far parte del
corpo docente della Royal Academy School di Londra.
La ringraziamo e speriamo che prenderà in considerazione la nostra proposta.”
 ***
Il parquet scricchiolava sotto le ruote pesanti della sedia a rotelle, Amie si muoveva in giro
per la stanza, osservando le ragazze che entravano per la loro prima lezione di danza.
Alcune sistemavano i capelli, altre cospargevano di pece la punta delle scarpette, altre
ancora cominciavano già a riscaldarsi alla sbarra.
Lanciò uno sguardo sorridente al pianista e subito dopo annunciò l'inizio della lezione:
“Siamo pronte per cominciare, ragazze?”

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