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LIVELY di M. Agostini

A South era sempre stato insegnato che passare tre volte davanti alla casa di Bert Callison portava sfortuna. Era un’antica credenza a cui lei e sua sorella Kennedy avevano sempre creduto, sin da bambine. Non era l’aspetto della casa – buio, losco e tetro - a spaventarle, quanto la strana ombra che nei freddi pomeriggi invernali questa rifletteva minacciosamente sulla strada. Ecco perché, all’uscita da scuola, si sbrigavano sempre per evitare di assistere a quell’orrendo intreccio di luci ed ombre, che incuoteva paura ed un po’ di nostalgia per quella che, una volta, ancor prima della loro nascita, era stata una bellissima dimora estiva degli aristocratici di Columbus.

Kennedy aveva compiuto 18 anni qualche mese prima. Era così giovane, così vivace, e questi suoi due aspetti si mescolavano spesso insieme e facevano di lei un’asolescente spericolata, rendendola quasi completamente ignara del principio secondo il quale ad ogni azione corrisponde una conseguenza, piccola o grande che sia. E questa sua indole innata la faceva finire molto spesso davanti allo sceriffo della città, il signor Joseph, che la guardava sempre con un’aria di disprezzo misto alla rabbia, che veniva covato da anni e ribolliva dentro di lui come lava incandescente dall’estate dell’anno precedente, quando, appena presa la patente, Kennedy investì il suo gatto Robinson e mise fine alla sua vita. 

Dopo quell’episodio ne seguirono altri meno gravi, ma che contribuirono a rendere sempre più tormentato l’animo dello sceriffo Joseph.

Ma vi fu un giorno, in inverno, in cui di Kennedy non si ebbe più traccia. L’ultima a vederla fu sua sorella minore South, all’uscita da scuola. La sua testimonianza fu determinante per il semplice fatto che Kennedy non usciva mai da scuola con sua sorella, a meno che non avesse corsi pomeridiani a cui non poteva proprio mancare. Il resto delle volte usciva sempre alle due, per andare chissà dove con il suo fuoristrada.

Joshua, il padre delle due sorelle, prese la cosa sul serio solo quarantotto ore dopo la scomparsa della figlia maggiore. “Se fosse scappata di sua spontanea volontà sarebbe già tornata a casa, a quest’ora. South, come ti era sembrata l’ultima volta che l’hai vista?”

“Te l’ho già detto.”

“Ripetilo, per favore” le chiese, cominciando ad essere stanco della situazione. Lo sceriffo Joseph aspettava che South dicesse qualcosa, impaziente.

“Sembrava molto presa da quel che stava facendo”

“E che stava facendo?” la spronò a continuare lo sceriffo. 

“Si stava slacciando le scarpe”

“Cosa?” Joshua la guardò con aria di rimprovero, “South, non è il momento di scherzare, questo”

“Ma è vero quel che ti sto dicendo!” si spazientì lei, incrociando le braccia al petto.

“Ragazzina” richiamò la sua attenzione il giudice, “se quel che dici è vero, provvederò a mandare alcuni dei miei uomini nella vostra scuola per dare un’occhiata attorno all’edificio. Mi assicuri che non stai mentendo?”

“Sto dicendo la verità” ammise, con gli occhi lucidi, “posso andare ora?”

Joshua cercò l’approvazione dello sceriffo, che annuì. La ragazza si alzò dal divano su cui era seduta e salì al piano superiore, asciugandosi una lacrima caduta involontariamente dai suoi occhi. Aprendo la porta della sua stanza, qualcosa cadde dalla maniglia: una scarpa da ginnastica slacciata, come quelle che Kennedy indossava l’ultima volta che la vide. La rigirò tra le mani, chiedendosi da dove sbucasse, finchè non si accorse che, nella suola, era stato attaccato un foglietto verde.

Intreccio di reti bianche

South guardò il foglio con un’espressione confusa, e, allo stesso tempo, un po’ di inquietudine si stanziò dentro di lei: che fosse stata Kennedy a scrivere quel messaggio? 

Si diresse verso la finestra e vide che non era stata completamente chiusa, ma che un lembo della sua tenda si era incastato tra il muro e quest’ultima. Quindi qualcuno era entrato nella sua stanza e aveva attaccato la scarpa alla maniglia della porta. 

La mente di South era rimasta incollata a quel giorno e a quel post-it. Impiegò una settimana a capire che l’“intreccio di reti bianche” era un modo più enigmatico per indicare un canestro. Un pomeriggio, quindi, prima di tornare a casa, scese al piano terra, in palestra, e, provvista di una torcia, cominciò a guardarsi intorno. Sentiva il cuore rimbombarle nella testa, e varie volte balenò nella sua mente l’idea di uscire da là e di andarsene a casa, da suo padre, e dire tutto allo sceriffo. Ma l’orgoglio prevalse sulla paura, e continuò ad andare avanti, nel buio, con l’eco dei suoi passi, per capire fin dove sua sorella volesse farla arrivare. Passò mezz’ora, poi tre quarti d’ora, e alle cinque del pomeriggio South era ancora là sotto, a cercare chissà cosa. Passata un’ora, si diresse verso l’uscita e se ne andò, lasciando il buio dietro di sé.

Ho pensato che il modo meno efficace per farti trovare questo biglietto lasciartelo in palestra, sei così spaventata dal buio, quindi te l’ho lasciato qua: sapevo che non saresti entrata là dentro. Scusami se non ti ho mai detto nulla della mia voglia di andare via, ma volevo farlo come la mamma ha fatto prima di me: nel silenzio. Chi ha più parlato di lei dopo la sua scomparsa? Nessuno. Come nessuno ha più parlato del vecchio Bert Callison dopo la sua morte. Hanno inventato tante storie su di lui, e poi è stato dimenticato. E non è affatto vero che passare davanti alla sua casa tre volte porti sfortuna: sono solo storielle inventate, per allontanare dalla mente una persona che per andare via non ha avuto bisogno di funerali e di carri funebri.

South era così concentrata sulle parole che la sorella aveva usato in quel foglietto, che non si accorse nemmeno che il nome di Bert Cullison era stato sottolineato. Ci fece caso più tardi, proprio mentre passava davanti alla sua casa. Si fermò per un istante, e vide che il cancello era rimasto aperto. Entrò e si fece strada tra le erbacce che erano cresciute incontrollate, e camminò fino ad arrivare sul giardino sul retro. Il sole stava per calare, ma un lato della casa era ancora illuminato dalla luce che questo emanava, e fu in quel momento che South vide Kennedy. Scalza, struccata e con uno strappo sui pantaloni: “Dove vai?” le chiese.

“Non lo so.”

“Perché sei scalza?”

“Perché le mie scarpe erano diventate troppo piccole per me” disse. South rimase in silenzio. “E anche questa città ormai è troppo piccola per me.”

“Quindi vai a cercare una città più grande, deduco”

“Esatto”

“Va bene.” disse la più piccola, abbassando lo sguardo, “cosa dovrò dire a papà?”

“Quel che ti ho detto io.”

“Si arrabbierà tantissimo!”

“No, non lo farà. Ho lasciato un messaggio anche a lui, e penso l’abbia trovato”

South avvertì dei passi dietro di lei, e dopo poco, suo padre sbucò da dietro l’angolo. “La tua macchina era parcheggiata davanti alla vostre scuola, aperta. Avresti dovuto lavorarci un po’ meglio, Kennedy.” 

“Invece sta andando tutto secondo i miei piani.” disse Kennedy, allontanandosi, “voglio solo fare un esperimento, una scuola a modo mio; spero che capiate quel che intendo dire, e che non opponiate resistenza quando mi allontanerò”

Rimasero tutti e tre in silenzio. Kennedy cominciò ad allontanarsi, lentamente, fino a scomparire, per andare alla ricerca di una città più grande, dove la scuola sia la vita stessa, dove possa trovarsi in pace con sé stessa e con l’ambiente che la circonderà. 

Un altro foglietto verde giunse ai piedi dei due:

Tornerò.



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